Italia-Germania 4-3 compie 50 anni: ricordo e miti di una giornata di calcio leggendaria
Italia-Germania 4-3. 17 Giugno 1970, ore 16.00 (in Messico, vale a dire mezzanotte in Italia). Ormai è stato scritto tutto. Televisioni in bianco e nero, in un Paese lacerato dalla crisi e dai duri contrasti politici nelle piazze. Solo sei mesi prima, Milano aveva salutato in Duomo i morti di Piazza Fontana, per avere un’idea del periodo storico. Il boom economico è solo un ricordo: e il Mondiale messicano una parentesi di pace, che fa dimenticare per qualche giorno ben altri problemi.
Calcisticamente, l’Italia si presenta in America centrale dopo lo shock dell’edizione inglese (la famosa sconfitta con la Corea del Nord), ma forte del titolo di campione d’Europa (conquistato due anni prima, nell’edizione casalinga), qualificandosi attraverso un girone che l’aveva vista opposta a Galles e DDR.
Alla semifinale, le due compagini ci arrivano in modi differenti. Gli Azzurri, che i velenosi francesi, grandi esclusi, hanno soprannominato Caisse d’épargne (La Cassa di risparmio), nel girone eliminatorio (terminato al primo posto) sono infatti andati a segno solo una volta (contro la Svezia, rete di Angelo Domenghini al 10′), impattando a reti inviolate contro Uruguay e Israele.
Ai quarti di finale, però, i ragazzi di Valcareggi fulminano il Messico padrone di casa con un secco 4-1. La Germania Ovest, invece, dopo aver terminato a punteggio pieno la prima fase, in virtù delle vittorie contro Marocco (2-1), Bulgaria (5-2) e Perù (3-1), nei quarti ha incontrato l’Inghilterra, nella rivincita della finale di Wembley di 4 anni prima. La sfida, ricca di emozioni, si decide per 3-2 ai supplementari grazie a una zampata di Gerd Müller. Il centravanti del Bayern sarà alla fine capocannoniere del torneo, con 10 centri.
Questa volta, niente ricordi diretti: non vedemmo la partita, quella notte. Le regole di allora imponevano ai bambini di andare a letto dopo Carosello, e in casa nostra non si poteva transigere. Inoltre, la scuola materna ci attendeva, il giorno dopo: il nostro debutto in società, la prima partita vista allo stadio, sarebbe arrivato solo nell’autunno successivo, esattamente il 22 novembre di quell’anno. Ma grande fu lo stupore, la domenica dopo, a pranzo dai nonni, quando scoprimmo che anche loro avevano fatto le ore piccole.
Ogni volta che è capitato di rivederla in televisione, da ragazzi in compagnia dei nostri genitori, abbiamo comunque rivissuto voci e atmosfere della nostra infanzia, nonché visto sempre, nei loro occhi, una luce particolare. Non fu davvero una partita come le altre: la Germania era l’avversaria per antonomasia. E anche se nostro padre, il giorno dopo, come tutti, doveva andare a lavorare, ci ha sempre raccontato di non aver mollato sino al 120′, bruciando una sigaretta dietro l’altra. Con nostra madre al fianco, ovviamente, la quale, pure, non era mai stata particolarmente interessata al calcio, nonostante un tiepido interismo giovanile.
Raccontarla sembra quasi superfluo: il gol di Bonimba, uno dei nostri idoli, all’8′ minuto, con una fucilata di sinistro dal limite. Da lì, una noiosa partita con gli Azzurri a difendere, e i tedeschi a cercare spazi per il pari. La Caisse d’épargne, insomma. La parata di Albertosi all’89’, su insidiosa incornata di Uwe Seeler, appare come il giusto sigillo con il quale salvare una giornata di produttività per l’industria italiana, messa a dura prova dal fuso orario. Lo Stellone, lucidato freneticamente col Sidol da milioni d’italiani, ha ancora una volta protetto gli Azzurri.
Nessuno poteva immaginare che, da lì in poi, si sarebbe scritta una pagina di storia del calcio. Il milanista Karl-Heinz Schnellinger, che nostro padre (e non solo lui) aveva soprannominato sugli spalti di San Siro con affetto Volkswagen, nell’ultima disperata proiezione offensiva dei suoi, si trova tutto solo al limite dell’area piccola, in posizione esattamente contraria a quella che occupava per natura, con il Milan e con la Mannschaft. E da lì, con un tocco di destro, segna il suo primo (e rimasto unico) gol in 47 presenze con la maglia della Germania Ovest, al 3′ di recupero, col grande disappunto di Nando Martellini in telecronaca.
Nessuno se l’aspettava un’estensione così lunga, pur essendo legittima, rivendendo l’incontro con l’occhio di oggi. Tra l’altro, bisogna anche considerare che, all’epoca, andare oltre i tempi regolamentari era fatto più inusuale, e la durata dell’estensione non era comunicata al pubblico.
Il resto è storia del calcio, o leggenda: tanto da avere letto, sui social, tante citazioni errate, anche in tempi di Wikipedia. Germania Ovest in vantaggio, con gol del cecchino Gerd Müller al 94′, dopo errore difensivo di Poletti. Ci pensa Burgnich, terzino come Schnellinger ma sull’altra sponda anche in Italia (giocava, come tutti ricordiamo, nell’Inter) a raddrizzare la partita, riportata su binari di nuovo favorevoli agli Azzurri da Rombo di Tuono Riva, grazie a una magistrale ripartenza.
Ma non si può certo dimenticare Beckenbauer, rimasto in campo, con una fasciatura, nonostante la spalla lussata. L’episodio chiave al 110′: Seeler mette a centro area, di testa, un pallone quasi innocuo. Rivera copre il palo, Albertosi è al suo fianco. I due non si capiscono e nessuno va sulla sfera, come da logica. Lo fa invece Müller, colpendola di testa, e indirizzandola nel pertugio tra il Golden Boy e il palo, alla sua sinistra. Ci si aspetterebbe l’intervento liberatorio del giocatore del Milan, l’idolo indiscusso della nostra infanzia il quale, invece, forse battezzando la palla fuori dallo specchio della porta, resta immobile, per poi vederla invece diabolicamente insaccarsi, tra lui e il palo.
Tutta Italia imprecò nella notte, così come Albertosi, letteralmente impazzito per la stanchezza e il furore agonistico. Siamo di parte, ovviamente (Rivera non si tocca): ma rimaniamo dell’idea che la situazione sarebbe stata sbrogliata facilmente con una facile uscita, e relativa presa aerea, da parte di Ricky, la quale avrebbe evitato sofferenze alle coronarie di milioni di persone in tutta la Penisola. Tuttavia, non era ancora finita. Ripresa del gioco dal cerchio di metà campo, e parte l’azione.
Seguono undici passaggi, 60” circa nei quali nessun avversario riesce a contrastare la trama offensiva azzurra. Bonimba scatta sulla sinistra e mette in mezzo la sfera con un preciso traversone rasoterra. All’appuntamento arriva puntuale Rivera, piazzato più o meno all’altezza del dischetto del rigore, tutto solo: tocco di piatto, pallone da una parte e portiere dall’altra. La rete si gonfia, per l’ultima volta. Nella nostra memoria resta un passo della Storia critica del calcio italiano scritta anni dopo da Gianni Brera: “Le troiane Porte Scee e la porta di Maier si confondono nel cervello stranito di tutti.”
La sfida, come sappiamo, ebbe soprattutto un grandissimo impatto sotto l’aspetto della cultura popolare, che dura tuttora, come vi abbiamo raccontato anche noi ieri in un altro pezzo, del collega Elia Modugno. Rivedendola, dal punto di vista tattico, di cose da scrivere ce ne sarebbero tante: dopo cinquant’anni, per dire, la staffetta Mazzola/Rivera, a prescindere dalla situazione in campo, continua a essere per noi (che li abbiamo visti giocare entrambi dal vivo, tra l’altro), incomprensibile, viste le diverse caratteristiche dei due. Tra l’altro, in una partita dove, a fine primo tempo, si vinceva 1-0, non ci sarebbero stati motivi per togliere il Baffo, molto più importante in fase difensiva rispetto al Golden Boy, che pure illuminò l’Azteca col lancio per Domenghini, in occasione del terzo gol di Riva.
Restano i 7 gol segnati (quasi tutti per sviste difensive clamorose, soprattutto a quei livelli, in un momento dove ormai gli schemi non c’erano più), l’alternanza del punteggio, le emozioni, il fatto che si giocasse in tarda serata, in un’Italia abituata a coricarsi presto, l’avversario. Quella Germania che in tanti, all’epoca, risvegliava ancora ricordi tragici, di guerra e deportazioni. Un Paese che, come il nostro, era uscito distrutto e sconfitto dalla guerra, ma che stava riprendendosi meglio di noi dai disastri bellici, e che era ancora terra d’immigrazione per tanti connazionali. C’era la fase eroica, coi giocatori stoicamente in piedi nonostante l’altura e lo sforzo, e Beckenbauer in campo con la spalla lussata.
Negli anni la Partita del secolo ispirò articoli, libri e film di costume. Le due squadre si sarebbero incontrate ancora nella loro storia, in tante occasioni: la più importante, in un’altra semifinale mondiale, nel 2006. Ancora supplementari, ancora gli Azzurri a vincere e a guadagnare la finale, questa volta vincente. L’ultimo grido di gioia, sinora, per i tifosi della Penisola.
Per i tedeschi, ci sarebbero voluti anni per battere gli Azzurri in una competizione ufficiale: avvenne solo nel 2016, agli Europei di Francia, quando finalmente vedemmo nostra figlia (che, per anni, ci ha costretto ad andare a vedere le partite della Germania ai Mondiali e agli Europei nei campeggi sul Garda, per poter tifare con i propri connazionali) sorridere al termine di una sfida tra la “sua” Mannschaft e la Nazionale. Noi e i suoi nonni, un po’ meno: ma, del resto, il calcio dà e toglie. E, in ogni caso, non ha certo restituito ai germanici la vera rivincita per quel 4-3 che, ormai, fa parte della storia di questo sport, e non solo.
ITALIA-GERMANIA OVEST 4-3 dts (1-0 pt, 1-1 90′)
ITALIA: Albertosi; Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato (91′ Poletti), Cera; Domenghini, Mazzola (46′ Rivera), De Sisti, Boninsegna; Riva. All.: Valcareggi.
GERMANIA OVEST: Maier; Vogts, Patzke (66’ Held); Schenellinger, Schultz, Beckenbauer; Grabowoski, Overath, Seeler, Muller, Lohr (52′ Libuda). All.: Schon.
Arbitro: Yamasaki (Messico)
Marcatori: 8’ Boninsegna (I), Schnellinger (GO) 90’, 94’ Muller (GO), 98’ Burgnich (I), 104′ Riva (I); Müller 110’ (GO); Rivera 111’ (I)
Ammoniti: 26′ Rosato, 73′ Albertosi, 104′ De Sisti, 114′ Domenghini (I); 66′ Müller, 66′ Overath (GO)