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Buon compleanno Italia ’90 – Pumpido e Goycochea, staffetta tra eroi

Dal baule dei ricordi del Mondiale di Italia ’90 tiriamo fuori un’altra storia, quella della staffetta tra i due portieri della Nazionale argentina contro l’URSS nel secondo match: un evento destinato a segnare la carriera di Nery Pumpido e Sergio Goycochea.

MESSICO E NUVOLE… ITALIANE. Nery Pumpido ha 32 anni e milita nella seconda divisione spagnola con il Betis Siviglia. Ha appena contribuito con 33 presenze alla promozione del club biancoverde nella Liga e si appresta a disputare il terzo campionato mondiale della carriera. Nel 1982 era stato riserva di Fillol e Baley, ma quattro anni dopo in Messico aveva ottenuto il posto da prima scelta dell’Argentina di Bilardo, vincendo il titolo. Il trasferimento in Spagna, il primo in Europa per lui, si era concretizzato due anni dopo proprio al Betis. Pumpido, era il 1989, aveva rischiato di perdere l’anulare della mano sinistra per uno stupido incidente in allenamento, quando si appese alla traversa e la sua fede nuziale restò impigliata: venne scongiurato il peggio da un tempestivo intervento chirurgico. Ma, come detto, Pumpido arrivò a Italia ’90 sullo slancio di un ottimo traguardo raggiunto con il suo club e la dolce responsabilità di difendere il titolo iridato con l’Argentina. La Coppa del Mondo italiana si sarebbe rivelata però uno spartiacque decisivo nella sua carriera. Pumpido non fu irresistibile nel debutto contro il Camerun, intervenendo in modo goffo sullo spaziale colpo di testa di Omam-Biyik, finendo dietro la lavagna in un esordio amaro. Non avrà purtroppo modo di riscattarsi. All’undicesimo minuto della seconda gara contro l’URSS, è sfortunato su un pallone basso nella propria area: il sovietico Shalimov tocca, la gamba destra del portiere sbatte violentemente contro il ginocchio del compagno Olarticoechea. Pumpido resta a terra, il replay è impietoso. La grave frattura (tibia e perone) è evidente, viene trasportato fuori dal campo in barella. Quella 36ª partita con la Selección resterà l’ultima e sarà il precoce tramonto della carriera, ripresa in patria dopo un anno ai box e il mancato rinnovo con il Betis.

IL PARARIGORI. Esce Pumpido, entra Goycochea con la maglia numero 12. Il subentrante fa il proprio ingresso sulla scena mondiale in modo casuale e inaspettato. Se consideriamo che non disputa un match da otto mesi (è tesserato per i Millonarios colombiani), si può immaginare la sfilza di pensieri che in quel momento avrà avuto. Goycochea non fa una piega ed entra a freddo, cercando di fare dello stretching già nel tragitto fino alla propria area. Non lo sa ancora, ma ha intrapreso il cammino per diventare una leggenda argentina. Intanto mantiene la porta inviolata contro i sovietici. Poi il rumeno Balint lo infila la prima volta nell’ultimo incontro del girone, Argentina agli ottavi con affanno. Qui, a Torino, la celebre vittoria con il Brasile (1-0) dello scandalo Roipnol. Biancocelesti ancora avanti. Nei quarti di Firenze contro la Jugoslavia la partita non si sblocca e necessita di supplementari e infine rigori. Ecco il momento in cui Goycochea sale in cattedra: neutralizza i tentativi di Brnovic e Hadzibegic (ultimo rigore), in una serie dominata dagli errori. Le prodezze di Goyco si rivelano decisive per il passaggio in semifinale, dove l’Argentina è attesa dall’Italia padrona di casa a Napoli. Schillaci e Caniggia chiudono i tempi regolamentari sull’1-1, extra-time inutili, ancora tiri dal dischetto. Sergio Goycochea è l’attore protagonista della prima storica puntata de i “Maledetti rigori“, film che per la Nazionale italiana avrà altri dolorosi sequel. Al San Paolo il sogno azzurro si infrange sulle parate del nostro su Donadoni e Serena, che condannano i ragazzi di Vicini. Goycochea entra nel mito, con quattro penalty respinti in due partite decisive. Paradossalmente, in finale riuscirà solo a sfiorare il tiro di Brehme che assegna la Coppa alla Germania Ovest. Nonostante la sconfitta, il “portiere per caso” dell’Argentina verrà accolto in patria da eroe, uno status rimasto indelebile ancora oggi a trent’anni di distanza. Una luce accecante su una carriera di club che si rivelerà modesta dopo Italia ’90, degna di nota solo in Nazionale con due edizioni della Copa América vinte nel 1991 e nel 1993. In quest’ultimo anno viene insignito del titolo di miglior giocatore della rassegna continentale. Al successivo Mondiale negli USA, Basile gli preferirà l’eterna riserva Islas e il portiere di Zarate chiuderà dopo 44 gettoni con l’Albiceleste.