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Buon compleanno Italia ’90 – Tutt’ a un tratto Totò Schillaci! È l’esordio azzurro: Italia-Austria 1-0

Gioia immensa e… dolore. Questo è il primo ricordo che mi affiora nella mente, ripensando all’esordio dell’Italia ai mondiali casalinghi del 1990. Cinquantasei anni dopo la rassegna organizzata – e vinta – in epoca fascista. Dopo 79’ minuti di dominio e occasioni fallite, la partita si trascina stancamente alla fine, perché lo sforzo profuso è stato notevole. Ad un certo punto, però, come un lampo nella notte arriva il colpo di testa vincente di tal Salvatore Schillaci. Nato a Palermo, esploso a Messina, consacratosi alla Juventus. Un gol così improvviso e inaspettato, ormai, che fa balzare come un felino mio padre dal divano per la gioia e il cui atterraggio gli si rivela più morbido del previsto… perché finisce dritto con il calpestare il mio piede, scalzo e nudo. Data l’arsura del periodo, in casa non si stava certo con le scarpe. Così, dopo quell’iniezione di gioia immensa per me, che avevo soltanto 7 anni, arrivò un dolore lancinante e le conseguenti lacrime a dirotto. Il tutto, per le risate del mio vecchio che, chissà perché, aveva colto il lato comico della cosa, ignorando l’agonia che stavo vivendo in quel momento. Ma facciamo un passo indietro.

L’Italia è in ritiro a Marino, ridente località verdeggiante sui castelli romani, l’ideale per isolarsi e trovare la giusta concentrazione in vista di una responsabilità molto grande: vincere la Coppa del mondo in casa propria. La squadra soggiorna al Grand Hotel “Elio Cabala”, come a voler esorcizzare la jella anche dentro ai letti e a colazione, pranzo e cena. Il clima è decisamente più positivo rispetto a Coverciano, dove la Nazionale ha soggiornato a Maggio, subito dopo la fine del campionato. Il trasferimento doloroso di Roberto Baggio dalla Fiorentina alla Juventus ha provocato una vera e propria guerriglia in città, che ha portato i suoi echi anche sui campi del centro sportivo federale.

Il dibattito della vigilia verte, soprattutto, sulla coppia d’attacco. Azeglio Vicini punta su Gianluca Vialli da Cremona, “StradiVialli”, perché ogni suo gol è una sinfonia di violino e ha già fatto bene all’Europeo di due anni prima segnando il gol decisivo contro la Spagna. E su Andrea Carnevale. Su quest’ultimo pende più di una critica, perché l’anno precedente aveva sì fatto molto bene con il Napoli, mettendo a segno anche 13 gol (all’epoca le partite di campionato erano soltanto 34), ma, nella stagione che ha portato al mondiale e conclusa in trionfo con il secondo Scudetto per i partenopei, l’attaccante ha fatto più da comprimario, segnando appena 8 gol. Dietro di lui, scalpitano i talenti di Roberto Baggio e Roberto Mancini, che per caratteristiche meglio si integrano con il centravanti Vialli. Il partner blucerchiato del bomber, però, non era considerato molto da Vicini né ben visto dai giornalisti, con cui c’era stata più di una scintilla. La più famosa, dopo la rete del Mancio contro la Germania agli Europei dell’’88, con tanto di esultanza polemica proprio verso la tribuna stampa.

C’è Aldo Serena, capocannoniere l’anno prima con 22 gol a corredo dello Scudetto dei record dell’Inter trapattoniana, ma anche lui in fase calante nella stagione appena conclusa: 9 gol appena. Infine Schillaci che, da ultima ruota del carro, se ne sta buono dietro le quinte e rispetta le gerarchie. Entrato nel gruppo da ventiduesimo per l’ottima annata con la Juve, ha scalzato all’ultimo Luca Fusi, fresco vincitore della Coppa delle Coppe con la Sampdoria. Uno che a Spalato, nel giorno dell’esordio in azzurro di Paolo Maldini (31 marzo 1988), era stato capace di annullare nientemeno che Dejan Savićević. Vicini, dunque, non si smuove: la coppia d’attacco è Vialli-Carnevale. Il resto della squadra è un gruppo di grande qualità, al culmine della carriera. L’età media, infatti, è di 27 anni. In porta c’è Zenga, votato miglior portiere dell’anno dall’IFFHS nel 1989, nel 1990 e lo sarà per la terza volta consecutiva anche nel 1991.

La difesa è più invalicabile del muro di Berlino appena abbattuto: a destra c’è lo Zio Bergomi, che non ha più i baffi, ma il carisma da Campione del mondo, accanto a lui c’è l’altro campione iridato Franco Baresi, IL difensore per eccellenza, coadiuvato da un altro interista, Riccardo Ferri detto “la roccia”. A sinistra completa il pacchetto Paolo Maldini, che sarà IL difensore della storia. A centrocampo Ancelotti, Donadoni e De Napoli garantiscono fiato, idee e intelligenza e, ad ispirare la manovra d’attacco, c’è sulla trequarti Giuseppe “Er Principe” Giannini, che gioca più in casa degli altri visto che, da romanista, ha pure le chiavi dello stadio Olimpico. Particolarità: è una Nazionale, questa, priva di juventini nell’undici titolare. Evento più unico che raro e, infatti, il tutto durerà i 79 minuti prima della gloria di Schillaci, più Baggio che bianconero lo sarebbe diventato, come dicevamo, dopo il Mondiale. La tensione va di pari passo all’eccitazione, il CT Azeglio Vicini ha scommesso molto sui suoi ragazzi dell’Under 21, perché per lui prima della tattica vengono degli uomini, soprattutto se sono dei campioni. Bisogna saperli far giocare assieme e, a precisa domanda di un’inviata della Rai, risponde: “Cosa mi preoccupa di più? Non vincer la partita”.

All’ingresso in campo l’Italia non calpesta il prato dell’Olimpico, fluttua… sospinta dalle onde dell’oceano di bandiere tricolori che mai, prima di allora, avevano accompagnato un’esibizione azzurra. Il CT Hickersberger ha puntato tutto sul fuorigioco e sul contropiede, affidato al centravanti del Siviglia, Toni Polster, un passato non indimenticabile al Torino. E infatti non la vedrà mai con Bergomi alle calcagna. Dopo 5 minuti Vialli, con il terzo occhio, offre spalle alla porta un succoso assist per Carnevale che, davanti al portiere Lindenberger, si fa ipnotizzare. L’Austria prova a renderci omaggio con un retropassaggio da suicidio che mette Vialli davanti alla porta. L’attaccante della Samp tenta un improbabile tocco liftato d’esterno a sorprendere il portiere in uscita, ma la mira è sbagliata. Ancelotti prende il palo, Carnevale la manda alle stelle da due passi su assist del prolifico Donadoni, non meritevole di tanta irriconoscenza. Di occasioni, insomma, ne creiamo a bizzeffe, ma non la mettiamo dentro. L’Austria potrebbe rifilarci la classica beffa, ma Maldini in scivolata nega a Russ il colpo che avrebbe potuto uccellare Zenga (si diceva ancora così allora). Così al 45’, sempre così nella ripresa, in cui De Agostini rileva Ancelotti e con Vialli che tenta la giocata personale, ma manda il suo sinistro a lato. Questo gol non vuole proprio arrivare.

La mossa che cambia non solo la partita, ma l’intero mondiale dell’Italia arriva ad un quarto d’ora dalla fine, Vicini la azzecca come mai nella vita: fuori Carnevale, dentro Totò Schillaci. Dopo quattro minuti appena dal suo ingresso, Donadoni trova il corridoio libero per Vialli, costui s’inserisce sull’out di destra e va sul fondo. Parte il cross al centro dell’area e Totò, mingherlino in mezzo a due stambecchi austriaci di 1 metro e 92 centimetri, salta con il tempo giusto e di testa inzucca in rete, facendo letteralmente esplodere lo Stadio Olimpico e l’Italia intera. A spese del mio povero piedino da bambino. È amore a prima vista tra la gente e questo siciliano genuino dagli occhi spiritati, che sarebbero diventati lo sguardo storico di questo campionato del mondo. Vicini a fine partita ha le guance rosse per la tensione accumulata, lo vedessimo in un pub irlandese non penseremmo che sia italiano, ma solo “alticcio”. La prima notte magica è andata, che dolore di immensa felicità!

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