A volte basta una parola, una frase, un sottile riferimento, per farci naufragare nei ricordi. Notti magiche inseguendo un gol. Ricordi indelebili e inscalfibili. Che rimandano a un’epoca lontana ma che, in fin dei conti, è solo impolverata dal tempo come un vecchio libro lasciato su una mensola. Certe emozioni, seppur sopite, non si possono dimenticare. Italia ’90, il mondiale che tutti aspettavamo, non sfugge a questa logica.
Ricordo ancora le bandiere che abbracciavano festanti le terrazze del mio quartiere. Era un tripudio di entusiasmo, un’onda tricolore che non poteva lasciare indifferenti. L’attesa cresceva, giorno dopo giorno, assieme alla voglia di far parte di quello spettacolo. Naturalmente tutti i fari erano puntati sulla Nazionale Italiana allenata da Azeglio Vicini: reduce da un rinnovamento vistoso e da un Europeo tutto sommato positivo. Il Mondiale casalingo rappresentava l’occasione giusta per tornare a essere protagonista. Lo pensavano tutti i tifosi italiani e, naturalmente, lo pensavo anche io. Con gli occhi sognanti di un bambino innamorato della maglia azzurra.
C’era la mascotte, Ciao. A molti non piaceva, ma io custodivo decine di spillette in un cassetto del mio comodino. E poi c’era quella canzone. Un inno che ti rimbalzava in testa e ti conquistava con la sua orecchiabilità. Non a caso ancora oggi, anche all’estero, molti considerano la canzone di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato il miglior inno dei Mondiali mai eseguito.
Quel mondiale ha cambiato la vita di tanti della mia generazione. Perché è stato il primo che abbiamo vissuto intensamente e senza sosta. Con lo sguardo incollato alla TV, non ci perdevamo nemmeno una partita. Non era importante chi giocasse. L’importante era esserci, godersi quello spettacolo fino in fondo. Si respirava un clima festante e sincero. Da quel 8 giugno 1990 sono passati trent’anni, ma certe emozioni non finiranno mai nel dimenticatoio. Le custodiremo gelosi nell’album dei ricordi migliori.