Una stella autentica del calcio italico, miseramente fatta fuori dal costume e dalle dicerie in un periodo complicato come il ventennio fascista. La carriera – e non solo quella – di Carlo Carcano fu spezzata, la sua figura infangata. E neppure riabilitata al momento della morte, secondo un copione tristemente noto nel nostro Paese per chi riceve in dote una scomoda etichetta.
CENTROMEDIANO. Carlo Carcano nasce a Masnago, rione della città di Varese, il 26 febbraio 1891. Cresce a Milano e scopre il gioco del calcio ancora giovanissimo. A Milano è tra i fondatori del club Nazionale Lombardia Football-Club, la cui attività inizia e termina negli anni Dieci del secolo scorso. Carlo si trasferisce in Piemonte, ad Alessandria, e nel sodalizio in casacca grigia comincia seriamente con il pallone. Il debutto arriva nel 1913. Le sue caratteristiche illustrate dalla stampa dell’epoca – dotato dal punto di vista fisico, tecnico, tattico e carismatico, abile nell’interruzione dell’azione avversaria, preciso nei passaggi per far ripartire l’azione – disegnano un centromediano con i fiocchi, talmente bravo da vestire la maglia della Nazionale. Debutta nel gennaio 1915 contro la Svizzera: resterà l’unica presenza prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Al termine del conflitto riprende il proprio posto nel cuore della difesa alessandrina e in azzurro, per altri 4 incontri tra il 1920 e il 1921 con una rete nel pirotecnico 9-4 alla Francia. Chiude con i piemontesi al termine del campionato di Prima Divisione 1923-24, diventando allenatore nella Valenzana e sfiorando la promozione nella massima categoria. Discreta l’esperienza successiva all’Internaples, dove porta con sé un giovane notato a palleggiare con maestria nelle strade di Alessandria: il ragazzo ci sapeva fare eccome, sarebbe stato destinato a una parabola leggendaria. Il suo nome era Giovanni Ferrari. Entrambi arriveranno ai grigi nel 1926.
LA SCALATA AL SUCCESSO. Carlo Carcano si dimostra immediatamente un tecnico eccellente, mettendo a frutto la conoscenza e l’esperienza maturate in tanti anni di pallone, unendo parecchia farina del suo sacco a livello tattico. Con lui l’Alessandria arriva addirittura a un passo dal titolo nel campionato 1927-28, valorizzando oltre al citato Ferrari anche numerosi calciatori locali. Tra questi i futuri nazionali Banchero e Bertolini: quest’ultimo fu arretrato da Carcano dall’attacco in mediana, per citare un’altra delle sue lungimiranti osservazioni. Riscuote parecchi consensi, il buon Carlo. Tanto che viene proposto come selezionatore della Nazionale e guida gli azzurri per 6 partite tra l’ottobre ’28 e l’aprile ’29: imbattuto nei primi 4 match, viene giubilato dopo gli stop contro Austria e Germania. Nel frattempo mantiene l’incarico sulla panchina dell’Alessandria, con cui inaugura la neonata Serie A nella stagione 1929-30 giungendo sesto. I tempi sono maturi per il grande salto. La Juventus riconosce in Carcano la figura del nuovo allenatore: non sbaglierà la scelta. Il tecnico varesino ha nel frattempo messo a punto il cosiddetto Metodo o WW, modulo di gioco che prevede uno schieramento 2-3-2-3, sviluppato in Italia anche da Vittorio Pozzo e in Austria da Hugo Meisl. Il Metodo si contrappone al Sistema o WM inventato dall’inglese Chapman: si basa, per farla breve, sulla classica espressione “difesa e contropiede”. Una novità che negli anni Trenta porterà grande fortuna alla Nazionale italiana, al Bologna e alla Juventus. Sì, proprio ai bianconeri guidati da Carlo Carcano. Quattro campionati conquistati in fila, tra il 1931 e il 1934, traghettano il nostro nella leggenda. In quell’estate affiancherà proprio Pozzo al Mondiale giocato in casa, e vinto… come Mussolini auspicava.
LA DELEGITTIMAZIONE. Ora immaginate di versare in un colino dalle maglie strette la parabola sportiva di Carcano. Restano solamente tre parole, quelle dal peso specifico maggiore in questa storia: Juventus, Fascismo, ignoranza. I motivi li stiamo per scoprire. Ogni tessera del puzzle tornerà al proprio posto, configurando la delegittimazione di un uomo di successo. Nel dicembre di quello stesso 1934, con la squadra bianconera lanciata verso il quinto e ultimo scudetto del celebre Quinquennio, Carcano lascia clamorosamente la guida tecnica della Juventus. La notizia viene liquidata con poche righe da La Stampa il 10 dicembre 1934. La società bianconera, in seguito parlerà sempre della vicenda citando dimissioni per “motivi personali”. La verità sale a galla, restando intrappolata nelle maglie del nostro ipotetico colino, insieme a quelle altre tre parole. Siamo nell’Italia fascista, intollerante, bigotta e ipocrita. Razzista. Pettegola. Carcano era omosessuale: si fa della sottile ironia sul suo giacchetto di daino, un’attenzione all’eleganza e allo stile ritenuta eccessiva, voci sempre più insistenti sulle preferenze intime dell’allenatore. In quel periodo storico, voci incontrollate da mettere a tacere immediatamente. L’allenatore sarebbe rimasto coinvolto in uno scandalo gay per presunte attenzioni sul giovane attaccante Felice Placido Borel, ma non da solo: saltano fuori anche i nomi dei celebri giocatori Luís Monti e Mario Varglien. Alcuni dirigenti juventini montano così un quadretto ingestibile. Il terzino Pietro Rava, molti anni più tardi, vuoterà il sacco: il barone Mazzonis, braccio destro del presidente Edoardo Agnelli, viveva con l’orticaria la situazione. Tanto che le presunte ambiguità dei comportamenti di Carcano, con i giocatori citati e addirittura alcuni dirigenti, vengono messi all’attenzione dell’industriale torinese dell’auto. Al termine di una riunione, Carcano salta irrimediabilmente e viene sostituito in panchina da Carlo Bigatto.
OBLIO. La notizia della fine del rapporto lavorativo tra il tecnico e la società campione d’Italia non viene praticamente riportata a mezzo stampa. Inizia così la nuova fase dell’opera di delegittimazione di Carlo Carcano, che di fatto vede interrompere bruscamente una carriera di alto livello ampiamente meritata. Niente sarà più come prima. Qualche mese dopo troverà spazio al Genoa in B, come vice (no comment, dopo quattro scudetti da primo allenatore) del mitico Renzo De Vecchi, poi in C alla Sanremese. Guida inoltre l’Atalanta e l’Inter, con le ultime esperienze da direttore tecnico con l’Alessandria e ancora a Sanremo. Dedica stagioni importanti alla formazione dei giovani calciatori, fondando la celebre scuola calcio dei Carlin’s Boys, realtà che per anni raggiunge risultati degni di nota. Proprio nella cittadina ligure, “Carlin” si stabilirà per oltre trent’anni, fino alla morte sopraggiunta il 23 giugno 1965, per le conseguenze di un malore che lo aveva colto mentre faceva il bagno in mare. Sembra semplicemente impossibile, come la parabola dell’allenatore più titolato e famoso d’Italia sia finita in un misero tritacarne, i cui ingranaggi sono stati attivati dall’intolleranza e dal pettegolezzo: il nome di Carlo Carcano, sebbene inserito nella Hall of Fame del calcio nostrano nel 2014, è stato colpevolmente abbandonato nel dimenticatoio. Verrebbe da dire che si tratti, purtroppo, di un classico tutto italiano dal copione purtroppo triste e scontato.
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