Svizzera, ripresa ma senza coraggio
In Svizzera si riparte, quindi, in analogia con quanto sta accadendo in tanti altri Paesi. Premessa: non ci nascondiamo dietro un dito, come hanno fatto altri rispetto al campionato italiano, che hanno salutato il ritorno in campo della Serie A e B come se fosse una conquista sociale, in nome del benessere di una popolazione stremata dalla crisi del Coronavirus (ma sono cose che abbiamo letto anche sui giornali svedesi: tutto il mondo è paese).
Noi siamo uomini che amano lo sport, come chiunque faccia questo mestiere con passione. Però, bando all’ipocrisia e alla retorica che, in certi casi, è sfuggita di mano a qualcuno: scriviamo, soprattutto di calcio, con l’ambizione di farci leggere, per ovvi motivi. E se non si gioca, i contatti diminuiscono. Si può provare a mantenerli ovviamente, raccontando delle partite del passato e dei vari retroscena delle trattative per la riapertura, come abbiamo fatto in queste ultime settimane. Però, non è sicuramente la situazione ideale per farli crescere. Vale per noi, che seguiamo il calcio estero, come per il resto della redazione, che si occupa di tutto il resto, e che si è data da fare per darvi un prodotto comunque di livello.
Questo per dire che la notizia della ripresa ci fa piacere dal punto di vista della passione e di quello professionale. Siamo infatti gente che ama stare ai bordi del campo e commentare le partite, i gesti tecnici, le invenzioni tattiche degli allenatori. Se ci ha fatto piacere, in alcune occasioni, raccontare episodi del passato, vissuti in prima persona, ci siamo divertiti meno a scrivere dei magheggi e delle alchimie politiche della Swiss Football League e dei vari presidenti i quali, giustamente, volevano (e dovevano) tutelare i propri club.
Ben venga, quindi, che il pallone torni finalmente a parlare, con tutto ciò che ne conseguirà. Anche se dovremo ascoltarlo nel rispetto delle distanze sociali. E il tutto in attesa che la Svizzera riapra le frontiere, ovviamente: altrimenti ci toccherà farlo a distanza, che non è la nostra dimensione preferita per raccontare le cose. Ci saremo in ogni modo, naturalmente: tuttavia, speriamo che la situazione si risolva il prima possibile.
Tuttavia, se è vero che la notizia è la ripresa, non si possono non vedere le circostanze che l’hanno determinata. E una sostanziale miopia da parte della SFL e dei club più importanti che hanno sostenuto questa politica, nonostante, nelle scorse settimane, addirittura la consigliera federale Viola Amherd, responsabile del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS), avesse invitato a usare anche la “fantasia” per affrontare la crisi.
Il calcio professionistico, giustamente, aveva fatto notare infatti al governo svizzero di essere un’industria, con un fatturato importante, e migliaia di persone impiegate al suo interno in varie mansioni. Risorse, posti di lavoro e quindi capacità di acquisto delle famiglie da tutelare. Concetti sacrosanti e condivisibili. E l’esecutivo elvetico ha infatti risposto, come vi abbiamo raccontato nelle scorse settimane. Tuttavia, lo ha fatto ponendo delle condizioni: una fra tutte, la più importante, l’obbligo di restituire i soldi presi in prestito.
Ha detto bene il presidente Renzetti nei giorni scorsi, e lo ha ribadito ieri in un’intervista alla RSI: bisogna stare attenti a fare dei debiti. Non solo: si tratta di finanziamenti vincolati a precise condizioni (la più importante, l’abbassamento degli ingaggi del 20%). Ma la situazione delle varie società non è uguale, per dire, visto che è legata da tanti fattori (stadi di proprietà, partecipazioni alle Coppe europee e relativo incasso di diritti televisivi eccetera).
Ci potrebbero essere club che potrebbero fare a meno dei prestiti federali, magari. E non essere quindi costretti ad applicare la regola che impone l’abbassamento degli ingaggi, con tutto ciò che questo comporta. Insomma, un problema non da poco. Non vogliamo fare i moralisti o accorgerci all’improvviso di essere nel 2020: ovunque il calcio si divide tra chi può e chi no, e i risultati a sorpresa sono sempre più rari, come sappiamo. E, del resto, basta vedere i tabellini delle partite italiane, cercare le quotazioni dei giocatori sui siti specializzati e le classifiche degli ultimi campionati disputati nella Penisola, per non andare troppo lontano.
Però, a nostro parere, in questa fase serviva maggiore solidarietà e, soprattutto, fantasia, proprio come suggeriva consigliera federale Viola Amherd, che non ci risulta essere un’appassionata di calcio, visto che non l’abbiamo mai vista in uno stadio, magari alla finale di Coppa svizzera (ma potremmo esserci distratti, in fondo), dimostratasi più sottile di tanti esperti in cose calcistiche che hanno parlato in questi giorni.
Fantasia secondo noi era creare qualcosa di nuovo, rendere il prodotto più accattivante per esportarlo, portando nuovi ricavi. Sfruttare i nuovi mezzi tecnologici era stato l’invito della Amherd la quale, forse, non conosce i termini dei contratti dei diritti televisivi, le possibilità di Teleclub e Swisscom per offrire il prodotto sul suolo elvetico ma che, tuttavia, un segnale l’aveva dato.
Pensiamo a noi che, lo scorso anno, vedevamo con piacere partite del campionato australiano (e non solo) su Sportitalia e commentavamo quelle dell’Allsvenskan. In questa offerta di calcio estero di campionati di livello tecnico più basso dei cosiddetti Big 5 ma dove nascono e muovono i primi passi buoni giocatori che poi vanno a infoltire le fila dei club di livello internazionale, il campionato di calcio della Svizzera (l’unico Paese estero dove l’italiano è lingua ufficiale, tra l’altro, assieme a San Marino) avrebbe potuto avere diritto di cittadinanza, secondo noi.
Ma serve una formula differente, più accattivante, che comprenda tutte le squadre di tradizione. Compagini come il GCZ, il Servette, il Basilea, lo Young Boys, lo Zurigo, lo stesso Lugano, il Losanna sono conosciute da tutti gli appassionati, anche oltre i confini rossocrociati. C’è un movimento in crescita a livello giovanile, che è stato anche campione del mondo U17 nel 2009.
Un settore che, negli ultimi anni, ha regalato giocatori di buon livello al calcio internazionale, con una Nazionale ormai presenza fissa alle fasi finali di Europei e Mondiali (a differenza dell’Italia o dell’Olanda, che i Mondiali di Russia li hanno visti in televisione). Manca ancora il fuoriclasse alla Ibrahimović che, da queste parti, non è mai arrivato: ma c’è il terreno fertile perché ciò accada, in questa generazione o nella prossima. Magari non si chiamerà Frei, Egli o Bernasconi, ma poco importa.
Insomma, tante opzioni, e la possibilità di prendere il volo. Ma per farlo serve prima di tutto solidarietà (i fallimenti delle squadre di tradizione, e ce ne sono stati diversi negli ultimi anni, non aiutano certo il movimento) e, come auspicato dalla politica, fantasia. Ma da sola non basta: perché poi, a fianco di questa, serve coraggio. Al pessimismo della ragione va infatti opposto l’ottimismo della volontà.
Ieri, invece, nella conferenza stampa al termine della riunione in SFL, è sembrata prevalere la volontà, di fronte a problemi oggettivi come la scadenza dei contratti al 30 giugno, di lasciare ognuno libero di organizzarsi come meglio crede. Il tutto in un’ottica che, se da una parte promuove un’auspicabile autonomia dei club, dall’altra li lascia da soli in questa situazione, con i contratti in scadenza a fine mese, con l’impossibilità di giocare alla presenza del pubblico e la difficoltà conseguente a reperire risorse.
Intendiamoci: in molti se lo aspettavano, soprattutto a Lugano e in Vallese, e ognuno attiverà il proprio piano B. In Ticino ci si allenerà, cercando di tutelare fisicamente i giocatori, si è già parlato con quelli in scadenza di contratto (parole di Renzetti alla RSI). A Sion, si affilano le armi legali, come ha scritto Le Matin, quotidiano romando di riferimento (come il Blick per la parte tedesca). C’è poi tutta la partita della tutela della salute dei giocatori (si parla di visite mediche, controllo della temperatura ma non di test, giudicati troppo onerosi), regole certe su cosa succederà se dovesse esserci un calciatore o un membro dello staff positivo in squadra. Domande sinora senza risposta da parte dei vertici della SFL.
In conclusione, è mancato il coraggio di cambiare, di fare un salto di qualità che, oggi, con in ballo la sopravvivenza del calcio svizzero di livello, poteva e doveva essere fatto. Nell’hockey, per dire, si sono fatte scelte diverse, guardando già da mesi alla prossima stagione, e abbandonando ogni velleità per quella in corso. Come dice Renzetti, alla fine tireremo la riga. E vedremo quale, tra i due movimenti sportivi più importanti oltreconfine, ha seguito la strada giusta. Per ora, come abbiamo già scritto, si salvi chi può. Dentro e fuori dal campo.