Pallone in Soffitta – Ezio Sclavi: portiere, prigioniero, pittore
Nella lunga e polverosa storia del calcio italiano, c’è un profilo quantomeno insolito. Una vita ricca di tutto, quella di Ezio Sclavi: da qualsiasi punto vista la si guardi. Impossibile non riscoprirla.
NO, GRAZIE. Pavese – nato nella piccola cittadina di Montù Beccaria – classe 1903, Ezio Sclavi si cimentò da giovanissimo nell’atletica e poi nel calcio solo in un secondo momento. Si piazzò tra i pali della Stradellina, società vicino a casa, all’inizio degli anni Venti. Fu l’inizio di una carriera a dir poco singolare. Dopo la chiamata a Roma per il servizio militare, il ragazzo dal viso scavato, dai ruvidi lineamenti, la stempiatura pronunciata e ginocchiere bianche – dopo essere stato scartato da Alba e Fortitudo – viene tesserato dalla Lazio: siamo nel 1923. La particolarità risiede nell’esordio in prima divisione, l’odierna Serie A, senza aver mai disputato in precedenza una gara “vera”: altri tempi. Dopo due annate con 32 presenze complessive, Sclavi si trova nella condizione di scegliere se restare dilettante oppure andare altrove. Insieme al compagno Vojak, passa alla Juventus: non andrà nel migliore dei modi. Chiuso dal grande Giampiero Combi, trova spazio in un’unica occasione contro la Reggiana ma… non tra i pali! Viene schierato infatti da centromediano dall’allenatore ungherese Jeno Károly. Una prestazione degna di nota, tanto che a fine stagione i bianconeri intendono rinnovargli il contratto nel medesimo ruolo. Ma Sclavi rinuncia, preferendo ritornare a Roma per difendere la rete laziale dove verrà idolatrato per spirito d’appartenenza e coraggio. Combi era infatti il titolare inamovibile anche della Nazionale: scalzarlo, impresa pressoché impossibile.
AFRICA. Una maglia che a sua volta il portiere pavese avrebbe conquistato al posto del collega tra la fine del 1931 e i primi mesi del 1932, solamente per tre incontri per l’infortunio di Combi (che Sclavi sostituì al 61° del debutto azzurro a Torino). Le uniche apparizioni in azzurro lo videro impegnato contro Ungheria, Svizzera e Austria, sempre per la Coppa Internazionale. Nel giro di pochi anni sopraggiunse il declino fisico, a causa di problemi al menisco. Nonostante la guarigione, il nostro perse la maglia di titolare nella Lazio e nel 1934 lasciò la Capitale, insieme alla massima serie. Si accasò al Messina per un ultimo campionato di B, infine la decisione di arruolarsi per la guerra d’Etiopia come caporale motociclista. Restò lontano dall’Italia per tredici anni, dopo essere stato fatto prigioniero dagli inglesi e, in seguito alla liberazione, aver lavorato con successo come allenatore-giocatore ad Addis Abeba.
DOPO CALCIO. Una vita tutt’altro che piatta, quella di Ezio Sclavi. Al ritorno in patria (1947) allenò per un breve periodo la Viterbese. In seguito si allontanò dal calcio di un certo livello, stabilendosi in Liguria, dove coltivò con ottimi risultati la passione per il disegno e la pittura. Aveva già iniziato ad interessarsi d’arte nei primi anni Trenta, collocandosi nella corrente espressionista romana del periodo, con un interessante tocco d’originalità. Artista quotato, si ritirò dopo l’insorgere della malattia che si sarebbe rivelata fatale. L’ex portiere è scomparso a Taggia (Imperia) il 31 agosto 1968. La sua figura è stata valorizzata dal libro di Fabio Bellisario “Ezio Sclavi, portiere pittore” (Edizioni Eraclea, 2016): l’autore è architetto, storico d’arte e presidente dell’associazione culturale LazioWiki.
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