Primo Piano

La Bombonera compie 80 anni: storia a ritroso delle noches calientes dello stadio più infuocato del mondo!

Ottant’anni e ho tanta voglia di parlarvi dello stadio più palpitante che esista: la Bombonera. O meglio, l’Estadio Alberto José Armando, così ribattezzato nel 2000 dall’allora presidente del Boca Juniors, Mauricio Macrì, in onore di colui che fu il presidente più longevo (21 anni) e che portò in dote i primi successi internazionali, due Copa Libertadores ’77 e ’78 e la Coppa Intercontinentale. Lo stadio fu inaugurato il 25 maggio 1940 con una partita amichevole tra Boca Juniors e San Lorenzo (2-0 il risultato finale). Ispirato nella sua costruzione all’architettura razionalistica italiana, prese esempio dal progetto dello stadio Franchi di Firenze che era in esposizione proprio in quel periodo in città. Uno dei suoi progettisti, José Delpini, lo paragonò ad una scatola di bombones, cioccolatini, che aveva ricevuto in regalo proprio nel giorno del suo battesimo. Era nata “La Bombonera”. In Sudamerica la velocità con cui si affibiano i soprannomi è di poco inferiore, ma veramente di poco, a quella della luce. La prima partita ufficiale si disputò il 2 giugno 1940: Boca Juniors contro Newell’s Old Boys, “El más grande del interior” club storico di Rosario. La città più infervorata di calcio d’Argentina: risultato finale sempre 2-0. L’impianto venne poi completato definitivamente nel 1952 con il terzo anello e venne installata anche l’illuminazione artificiale.

“Garra-Mistica-Pasiòn” è la sacra trinità che qualsiasi giocatore del Boca Juniors ha provato sulla pelle e lungo la schiena, percorrendo le scalette che, dagli spogliatoi, portano al campo. La particolare pendenza e la conformazione del tunnel, infatti, fanno sì che i giocatori, salendo i gradini percepiscano prima il “ruido de los hinchas” sempre più forte, quindi vedano soltanto il cielo e, man mano che sono più su, la cima della “12-Doce” (la curva dei tifosi organizzati) e a scendere tutto lo stadio. In un crescendo di emozioni, prima sonore e poi visive, che non ha eguali al mondo. Daniele De Rossi, “el tano que vino a La Boca para ser campeón”, è stato il testimone italiano che per ultimo ha abbracciato il brivido dell’ascesa a questa cattedrale del calcio e calpestato l’erba al riverbero del suono assordante de “La mitad màs uno”.

 

 

“La Bombonera è lo stadio più assurdo e clamoroso del mondo, è una cosa unica, mi sento privilegiato. Auguro a tutti gli appassionati di visitarlo almeno una volta. Quando ti ritrovi a fare riscaldamento in 5 metri quadrati o fai lo schizzinoso e dici io qui non gioco oppure ti lasci trasportare dall’ubriacatura degli argentini per questo gioco. Per come è andata la mia carriera, è stato meraviglioso chiudere così”.

Nel corso della sua ottuagenaria storia, vissuta benissimo peraltro, la Bombonera ha avuto tanti uomini-simbolo che hanno scritto pagine memorabili. L’ultima, facile a dirsi, quella griffata da uno dei figli più innamorati del papà Boca e di questo stadio, Carlitos Tevez. La Superliga argentina, fresca conquistata, porta la sua firma in calce. Gliel’ha servita su un piatto d’argento il maestro Maradona? Ci piace crogiolarci nell’illusione che non sia così, anche se il bacio molto “intimo” che l’Apache è corso a dare in panchina al Diéz per eccellenza prima del fischio d’inizio lascia, come minimo, qualche dubbio. Come poteva Diego consentire agli odiati di sempre, i millonarios del River Plate, di togliere la gioia del titolo agli Xeneizes, dopo aver inflitto loro la sconfitta più bruciante della storia, nell’ormai famigerato Superclàsico dei due mondi, giocato al Bernabeu di Madrid dopo mille polemiche e che è valso la Copa Libertadores per gli uomini di Gallardo? Tevez, in ogni caso, è sempre stato molto amato dai bosteros, da quando irrise il Monumental mimando il gesto della gallina e venne espulso dopo un gol contro La Banda nel 2004. Non ha mai smesso di sudare e stupire con la maglia gialloblù. A 35 anni, contro l’Arsenal di Sarandì, ha fatto venir giù tutto lo stadio l’anno scorso con una splendida “chilena”, ossia il gol in rovesciata. Chiamato così a sud dell’equatore in onore del suo presunto inventore, l’ispano-cileno Ramon Unzaga, nel lontano gennaio del 1914.

Riavvolgendo il nastro non possiamo non tornare all’epoca d’oro a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, quando sotto la “Doce” illuminava il gioco e faceva impazzire i tifosi il professor Juan Romàn Riquelme. “El Mudo” è uno dei migliori interpreti del ruolo di trequartista nella storia del calcio ed uno dei simboli più forti dell’identità “boquense”. Per capirne la portata, basti leggere ciò che le grandi leggende del calcio hanno detto di lui, a cominciare da un altro docente universitario di fisica calcistica come Don Andrès Iniesta: “Lionel Messi è il miglior giocatore del mondo, ma Riquelme è fuori concorso”. Secondo il compianto ex-Ct della Spagna Luis Aragonés non si poteva dire che Riquelme fosse lo Zidane argentino, perché secondo lui “Riquelme è molto meglio di Zidane”; Zizou stesso, che ha giocato l’ultima partita al Bernabeu proprio contro il Villareal di Román disse: “È un onore ritirarmi con la sua maglietta tra le mani”. Ronaldo, il Fenomeno, coniò uno slogan per lui: “Se non ti piace Riquelme, non ti piace il calcio”. E, infine, il già citato De Rossi: Ho un gruppo su Whatsapp dove parlo con i miei amici solo di centrocampisti e la foto è quella di Riquelme, un giocatore che non trovi nel calcio di oggi. Per me è un idolo, penso sia il centrocampista più completo della storia, secondo solo a Iniesta che è stato il più forte“. 

Guidato dal santone Carlos Bianchi, uno che aveva appena masticato il sapore amaro dell’esonero in Italia sulla panchina della Roma (dove per poco non spedì Totti alla Sampdoria), quel Boca Juniors fu cannibale e portò a casa tre campionati argentini (Apertura 1998, Clausura 1999 e Apertura 2000), due Libertadores (2000 e 2001), un Intercontinentale (2000). Ed è memorabile la sera del 24 Maggio 2000, quando nell’eterna sfida contro il River Plate, las gallinas facero proprio la figura dei polli: non solo subirono un perentorio tre a zero che li vide fuori dalle semifinali di coppa, ma il povero Mario Yepes (futuro difensore di Chievo, Milan e Atalanta) fece anche da cavia ad un numero di alta magia: El Mudo, che gli dava le spalle, gli nascose il pallone con un tunnel di suola sulla linea di fallo laterale che gli argentini chiamano “el caño”. Figurativamente, l’arco delle gambe aperte del colombiano funsero da tubo all’interno del quale la palla scivolò via liscia, come galleggiasse sull’acqua di un canale. Fu quella una serata perfetta per gli azul y oro. Una giocata di cui l’uomo Romàn si pentì, perché il rispetto per l’avversario contava di più: “In una partita del genere, un classico, eravamo sopra 3-0 e me ne sono uscito con quella cosa. Un altro al posto suo mi avrebbe fatto male, lui invece mi ha seguito lungo la fascia e mi ha chiuso in fallo laterale. È stato molto più uomo Yepes a reagire così, che io a fargli un tunnel in quella situazione”.

Se parliamo di Bombonera e Boca Juniors, non possiamo però omettere di citare Diego Armando Maradona. Su di lui sono stati scritti non fiumi, ma galassie di parole e siccome per descriverlo l’inchiostro serve meno che guardare le sue giocate sul campo, ci limiteremo a ricordare un’altra storica partita tra le due squadre più famose di Buenos Aires, d’Argentina e del mondo. È il 10 Aprile 1981, Torneo Metropolitano: una serata fredda con il campo pesante, dopo un’ora di lotta in condizioni ancora peggiori, ma che non impedì però a Diego prima di lottare come un leone per tutto il campo e contro ogni avversario che gli si parasse di fronte e far carambolare, con un po’ di fortuna, il pallone dell’1-0 a Miguel Angel Brindisi. Quindi, servito dall’ottimo Cordoba, che pure aveva compiuto una vasca importante sulla fascia sinistra, dribblò con nonchalance il portiere della nazionale Fillol per poi depositare comodamente il pallone del 3-0 in rete, dopo che Brindisi aveva firmato la doppietta. Una pura noche del diez en la cancha. Cantata con poetica maestria per Radio Mitre da Victor Hugo Morales, IL telecronista per eccellenza in Argentina. Quasi come profetizzasse il gol del secolo, che sarebbe arrivato cinque anni più tardi, accompagnò quella giocata di Maradona con il suo celebre mitragliare onomatopeico.

“Ta-ta-ta-ta-ta, que sea, que sea, que sea, gol, gol, gol, gol, gol, goooool, gooool de Boca. Maradona, Diego Armando Maradona, el mejor jugador de futbol del mundo”.

Se stiamo celebrando il compleanno della Bombonera – e questo stadio è dedicato al presidente Armando – allora è d’obbligo chiudere catapultandoci negli anni ’70 quando, sotto la sua presidenza e dopo un quindicennio di vacche magre, l’arrivo in panchina del Juan Carlos “El Toto” Lorenzo dà il via ad un triennio di rara bellezza e successo. Arriva un titolo “Nacional” in finale contro il River Plate nel ’76, la Copa Libertadores contro il Cruzeiro nel ’77, la Coppa Intercontinentale nel ’78 contro il Borussia Mönchengladbach (il Liverpool si era ritirato) e un’altra Copa Libertadores contro il Deportivo Cali. Cui non seguì un’altra finale di Intercontinentale, non disputata per il secondo abbandono consecutivo dei Reds. Il primo di questi trofei porta la firma del “Chapa” Rubén Suñé, capitano e idolo boquense che spedisce una punizione di rara bellezza all’incrocio dei pali e stende i millonarios. Non alla Bombonera però, bensì sul campo neutro del Cilindro di Avellaneda, casa abituale del Racing citato all’apice di questo racconto. Con oltre 300 partite in casacca azul y oro e tutti i titoli di quel periodo, Suñe ha una statua in suo onore nel museo “Xeneize”. La noche màs caliente è quella del 28 Novembre 1978, dopo lo 0-0 in Colombia si gioca la finale di ritorno di Libertadores contro il Deportivo. Davanti a 80.000 xeneizes rumorosi e gravidi di entusiasmo, la squadra del Toto fa un sol boccone degli avversari. Dopo un quarto d’ora segna Hugo Perotti con un tocco sotto porta, nella ripresa Mastrangelo raddoppia con una palombella a giro degna del miglior Del Piero (che all’epoca gioca con i pupazzi, ha 4 anni). Salinas in contropiede batte in uscita il povero Pedro Zape per il tris, chiude il poker ancora Perotti che firma la doppietta personale. Al triplice fischio entrano tutti in campo, è una festa incredibile, più di quella dell’anno precedente, che non si era potuta celebrare a “casa propria”.

Ora che il coronavirus ha fermato il calcio e in Argentina si è decretato lo stop a tutte le competizioni, non sappiamo quando e come il Boca potrà festeggiare questo anniversario e tante altre vittorie. Ci auguriamo di poter tornare a sentire presto i cori più belli da stadio, uno in particolare, “Mi buen amigo”, nato da uno spot televisivo a tema sociale contro l’abbandono dei cani del 1981 e patrocinato dal governo argentino. Il brano è diventato così popolare che nel Maggio 2013 è stato eletto come miglior canzone da stadio del mondo di tutti i tempi! Lo hanno adottato tutti, inserendo nel testo il nome della propria squadra. I tifosi del Velez, i fan del Boca, gli ultrà dell’Independiente, i supporters del River Plate, e gli aficionados presenti in tanti altri stadi di calcio argentini cantano questa canzone. Speriamo di risentirla il più presto possibile e tanti auguri a la querida, vieja Bombonera!

Boca, mi buen amigo,esta campaña
volveremos a estar contigo,
te alentaremos de corazón,
esta es tu hinchada que te quiere ver campeón,
no me importa lo que digan,
lo que digan los demas, yo te sigo a todas partes
cada vez te quiero mas