La Corea del Sud si qualifica alla fase finale dei Mondiali di Italia ’90, bissando la partecipazione di quattro anni prima in Messico. Lee Tae-ho gioca come attaccante, ha fatto parte della Nazionale nell’ultimo decennio. Nel 1986 viene convocato ma resta sempre in panchina, poi un grave incidente ne mette a repentaglio la carriera: non abbastanza, per placarne la determinazione e condurlo finalmente sulla scena iridata.
TIGRE DELL’ASIA. La vita di Lee Tae-ho comincia a Daejeon (Corea del Sud) il 29 gennaio 1961. Si appassiona al calcio e ben presto si fa notare a livello nazionale, entrando a far parte della prestigiosa Korea University in cui si formano i giovani calciatori di talento del suo Paese. Assaggia la scena internazionale con la rappresentativa Under-20 nel 1979, prendendo parte al Mondiale di categoria in Giappone. Nel 1980 debutta in Nazionale proprio a Daejeon contro la Thailandia nella President’s Cup. La prima rete arriva già alla presenza successiva, inizio di una lunga serie. Nel frattempo, nel 1982, Lee lascia la Korea University per entrare nei Daewoo Royals. Attaccante di buone doti realizzative, accumula notevole esperienza facendo parte della Corea del Sud per tutti gli anni Ottanta.
MESSICO. Nel 1980 e nel 1984 – anno in cui viene eletto nel Top 11 del campionato sudcoreano – fa parte del gruppo impegnato nella fase finale della Coppa d’Asia, seconda classificata nella prima occasione. Sulla strada per il campionato del mondo 1986, contribuisce al pass iridato realizzando due reti contro Nepal e Giappone, strappando un posto nei ventidue per il Messico. La Corea del Sud, inserita nel girone A insieme a Italia, Argentina e Bulgaria, ritorna al Mondiale dopo l’esordio del 1954. Un momento storico, non supportato purtroppo dai risultati. Le “Tigri dell’Asia” tornano a casa immediatamente e il nostro Lee Tae-ho soffre dalla panchina, senza disputare anche un solo minuto. Una delusione, da cui cerca di rifarsi con grande determinazione. Con i Daewoo Royals è stato nel frattempo tra i fondatori della K League (nel 1983), trionfando nel 1984 e nel 1987, oltre che nella Coppa dei Campioni asiatica 1986.
INCONTRO COL DESTINO. Nel 1988 sono in programma sia la Coppa d’Asia che le Olimpiadi casalinghe. In quel momento il ragazzo di Daejeon è tra i più importanti attaccanti del continente. Tuttavia, il destino lo sta aspettando al varco. In una partita di K League, durante il secondo tempo, Lee riceve un pallone alto da un compagno di squadra. Nel tentativo di controllarlo di testa, viene contrastato e colpito violentemente al viso con il piede da un avversario. Viene ricoverato immediatamente in ospedale, la diagnosi è drammatica: Lee ha perduto la vista all’occhio sinistro, gravemente danneggiato dall’incidente. Un mese più tardi, viene operato per l’impianto di un occhio di vetro. Sembra che la sua carriera sia giunta al termine, ad appena 27 anni. Invece, come se niente fosse, ricomincia ad allenarsi in breve tempo e viene convocato per la fase finale della Coppa d’Asia: un miracolo, probabilmente impossibile al giorno d’oggi. Soprattutto se si considera che, nonostante la menomazione, Lee Tae-ho trascina in finale la Corea del Sud laureandosi capocannoniere con 3 reti. Il trofeo sfuma nuovamente, un particolare che passa in secondo piano rispetto alla vicenda del giocatore.
ITALIA. La punta partecipa anche alle Olimpiadi casalinghe nello stesso anno, ulteriore fiore all’occhiello alla sua carriera. Ma è nel 1990 che Lee completa in grande stile la propria avventura calcistica da atleta, chiudendo il cerchio rimasto aperto quattro anni prima in Messico. Viene selezionato per la fase finale mondiale in Italia, nutrendo la speranza di diventare protagonista del più grande spettacolo calcistico sul campo… non solo da semplice osservatore dalla panchina. La data fatidica è il 12 giugno 1990. Verona, stadio Bentegodi, la Corea del Sud affronta il Belgio. Al minuto 62 esce dal campo Noh Soo-jin, entra Lee Tae-ho! Una grande gioia, coronamento di una rincorsa lunga e non priva di dolore. Non solo: Lee diventa il primo calciatore della Coppa del Mondo riuscito in tale impresa nonostante una menomazione fisica, dai tempi del campione uruguaiano del 1930 Héctor Castro (privato della mano destra da un incidente sul lavoro). Ritiratosi dal calcio attivo nel 1991 dopo 72 presenze e 27 reti in Nazionale, è poi diventato allenatore in patria, in Nepal e della Nazionale di Taipei.
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