In Svizzera, si continua a lavorare alla ripresa. È notizia di ieri (fonte Blick) che la Swiss Football League ha elaborato un nuovo protocollo per disciplinare gli allenamenti a porte chiuse, inviandolo alle società professionistiche.
Nello specifico, ogni club dovrà redigere un elenco di persone la cui presenza è indispensabile per garantire l’attività. Il ragionamento è simile a quello fatto in Svezia, del quale abbiamo parlato ieri nella rubrica dedicata: se le persone sono tutte sane, e non vengono a contatto con altre infette, non potranno essere contagiate e, quindi, contagiare.
“Sulla base di questo elenco di persone, è importante tenere un elenco delle presenze, in modo che le persone possano essere identificate per tracciare possibili catene di infezione” viene specificato sul documento. Ovunque, nelle strutture, dovranno essere pubblicizzate le norme d’igiene da rispettare, come stabilito a livello generale dalle Autorità sanitarie federali.
Allo stesso modo, dovranno essere presenti dispenser di disinfettante. Quando possibile, andranno tenute aperte le porte dei vari ambienti. E il numero massimo di persone a cui sarà consentito trovarsi in ogni stanza dovrà essere chiaramente visibile. I giocatori e il personale dovranno arrivare individualmente nei luoghi dove si svolgeranno gli allenamento, senza fare uso dei mezzi pubblici.
Tutte le persone che prenderanno parte alle attività saranno controllate dal medico sociale. A tale proposito, il protocollo prescrive: “Questi controlli dovrebbero includere la verifica del sussistere eventuale dei sintomi della malattia, nonché la misurazione della febbre.” Se ciò si dovesse verificare, queste persone dovranno mettersi in isolamento.
Idealmente, gli spogliatoi non si possono usare. Giocatori e allenatori verranno ad allenarsi in tenuta da gioco, andando poi a casa a fare la doccia e a cambiarsi. Se (come presumibile) ciò non fosse possibile, bisognerà entrare nei locali doccie scaglionati.
Viene stabilito anche che le scarpe da calcio dovranno essere lavate dai giocatori stessi e disinfettate dopo ogni sessione di allenamento. Fisioterapisti e i giocatori dovranno poi indossare maschere igieniche e, quando possibile, guanti, disinfettando le mani dopo ogni trattamento.
Viene inoltre consigliato di fare solo allenamenti all’aperto, unico luogo dove saranno possibili i contrasti fisici. Ovviamente, ci si disseterà con bottiglie personalizzate e (cosa non da poco) non saranno consentite partite amichevoli contro altre squadre, perlomeno sino a quando non ci sarà l’ok da parte delle autorità preposte (come sappiamo, l’appuntamento è per il 27 maggio).
Anche in Svizzera, ovviamente, è stato visto il video girato in Germania da Salomon Kalou. E, di conseguenza, c’è un invito a tutto l’ambiente a essere meticolosi e precisi nel rispetto delle regole, a partire dalla prossima settimana, quando riprenderanno gli allenamenti.
Nel frattempo, vanno avanti le grandi manovre delle squadre. Secondo la sempre ben informata trasmissione televisiva Fuorigioco, in onda lunedì sera su TeleTicino, la Super League sarebbe divisa in tre gruppi: favorevoli, contrari alla ripresa e indecisi. Nel corso dell’emissione, sono però stati fatti i nomi delle squadre.
YB, San Gallo, Servette e Zurigo sono stati inseriti nel primo gruppo; Lugano, Sion, Thun e Xamax nel secondo, mentre Lucerna e Basilea hanno posizioni più sfumate. In Challenge League Losanna e GCZ (ovviamente) portano avanti le istanze di chi vorrebbe giocare.
Nella pratica, lunedì vi abbiamo dato atto di come le posizioni del Thun si sarebbero ammorbidite. Al contrario, in un’intervista lanciata dall’emittente web del San Gallo, e menzionata dal sito ticinese chalcio.com, il direttore sportivo Alain Sutter ha espresso un parere diverso. Infatti, pur avendo parlato a titolo personale, l’ex giocatore e attuale dirigente della capolista ha dichiarato: “Allo stato attuale, si può fare in modo che i giocatori tornino in campo? Secondo il mio modesto parere, non è ancora il momento di tornare a giocare a calcio.”
Sutter ha poi proseguito: “Giocando, ci si scambiano fluidi corporei. Si suda, ci possono essere anche perdite di sangue: del resto, il calcio è sport di contatto. Vedo delle contraddizioni: i giocatori devono venire al campo individualmente, e fare la doccia a casa se possibile. Tuttavia, durante gli allenamenti, possono affrontarsi nei contrasti in campo. Credo si debba riprendere quando i giocatori potranno andare allo stadio insieme, stare nello spogliatoio insieme. Senza questi requisiti, non c’è spazio di manovra. Poi, logicamente, ci adegueremo alle scelte che verranno prese dagli organismi dirigenti.”
La SFL, nel frattempo, ha messo in moto la calcolatrice. Secondo quanto riferisce il Blick, l’annullamento della stagione 2019-2020 causerebbe una perdita di oltre 15 milioni di franchi. Oltre ai diritti televisivi in meno e ai mancati incassi derivanti dal merchandising, bisognerà infatti aggiungere anche il deprezzamento dei giocatori, una voce molto importante nei bilanci dei club in Svizzera. A rischio anche i premi per i piazzamenti in classifica.
La Lega, naturalmente, in una lettera inviata ai club, ha spiegato che la ripresa, anche a porte chiuse, garantirebbe la sopravvivenza. Tuttavia, come abbiamo visto, non tutti sono convinti. La parola definitiva spetterà a questo punto al Consiglio federale, che si pronuncerà sulla possibilità o meno di giocare delle partite il giorno 27 maggio.
La situazione, quindi, appare difficile. Sul fronte dei finanziamenti, come riferisce Ticinonews, lo sport professionistico svizzero ha ricevuto, sinora, 50 milioni di prestito (convertibile in finanziamento a fondo perduto). Tuttavia, la misura è stata presa per questi 2 mesi. Stiamo però vedendo che la situazione non è destinata a chiudersi presto: serviranno quindi nuovi interventi.
Secondo la procedura, l’Ufficio Federale dello Sport proporrà alla Consigliera federale Amherd, responsabile del DDPS (Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport) una proposta contenente delle misure concrete di aiuto, che dovrà poi essere avallata dal Consiglio Federale medesimo.
Analogamente a quanto sta succedendo nella nostra Penisola, anche qua più di uno storce il naso. Sbagliando, in realtà, almeno secondo noi. Lo sport professionistico va infatti visto per ciò che è: un motore per l’economia nazionale, e non solo uno strumento che arricchisce atleti e addetti ai lavori. Questo, ovviamente, al netto dell’attività educativa e della trasmissione di valori fondanti (come il rispetto dell’avversario, dei compagni e l’etica del lavoro, per fare un esempio) che fanno i club nei loro vivai a favore dei giovani di entrambi i sessi.
Pensiamo semplicemente all’industria degli articoli sportivi, all’indotto legato allo sport amatoriale (che vive molto sulle emozioni regalate dai campioni di tutte le discipline), ai media. E non pensiamo solo al calcio: a noi, che siamo di quella generazione, piace pensare al contributo dato da uno come Alberto Tomba alla diffusione dello sci come sport di massa.
Tuttavia, in Svizzera (e non solo), i club professionistici, per poter contare sul benestare della politica rispetto all’utilizzo di fondi pubblici, dovranno lanciare un segnale forte di contenimento dei costi, in particolare degli ingaggi degli attori principali: i giocatori.
L’opinione pubblica confederata può accettare la garanzia della sopravvivenza, ma (ovviamente) non quella del mantenimento degli attuali standard retributivi. Su quello la pensiamo come il collega Patrick Della Valle di Ticinonews. Ed è la sfida che attende, ora, il mondo del calcio professionistico svizzero. E non solo, aggiungiamo noi.