La Giornata Mondiale sulla Libertà di stampa è molto più di una semplice, astratta ricorrenza, arrivata al 16esimo anno del suo festeggiamento. È la giornata in cui tutto in tutto il mondo si prova a celebrare e onorare un principio fondamentale per la libertà degli individui e della società: la libertà d’espressione, anche attraverso la forma della stampa, è un diritto inalienabile, sancito in tutti i più importanti trattati che tutelano i diritti dell’uomo. E che in un mondo come il nostro, in cui l’informazione viaggia a ritmi sempre più elevati, tale da rendere ogni notizia, articolo o riflessione vecchi dopo pochi minuti, assume contorni nuovi rispetto a quando fu messa per iscritto la libertà di stampa per le prime volte.
Inalienabile, ma non illimitato, perché come quasi tutti i diritti presenti (fatta eccezione per la dignità umana, cardine anche della nostra Costituzione), ci si può trovare spesso a doverlo bilanciare con altri diritti caso per caso, spesso accettando di poterne salvaguardare uno, facendo soccombere l’altro. E storicamente la libertà di stampa è forse stata una delle più presenti su un uno dei piattini della bilancia dei diritti, finendo per dover cedere ad altre, più impellenti esigenze. Un aspetto di cui sono a conoscenza i governi di tutto il mondo, soprattutto di quelli che provano a mettere le proprie mani sulla stampa, per controllarla e modellarla a proprio piacimento: per sentirsi più forti e meno vulnerabili agli occhi dei cittadini e del resto del mondo, ma anche per trasformarla in un proprio, straordinario mezzo di propaganda per la sua capacità di diffusione e, talvolta, persino di persuasione.
Il nostro Paese, come ogni anno, si presenta con numeri certo non invidiabili in questo ambito. Nella classifica mondiale, siamo 41esimi su 180, davanti alla Corea del Sud ma dietro alla Repubblica Ceca, in una fascia di colore inferiore (come indicato dal World Press Freedom Index 2020) rispetto ai massimi livelli. Un piccolo passo in avanti rispetto allo scorso anno c’è stato (+2), ma la stampa italiana non può certo ancora definirsi “libera” come vorrebbe. O come dovrebbe essere per una democrazia moderna. Esistono giornalisti costretti sotto scorta per il proprio lavoro, altri rischiano costantemente la propria vita, talvolta venendo pure aggrediti. Insomma, raccontare la verità è un lavoro scomodo, che non tutti sono disposti a fare per tutti i rischi di contorno.
Il giornalismo sportivo vive, ancora oggi, in una sorta di aurea mistica quando si tratta di andare a fondo in questioni scottanti, difficili. Politiche, nel senso più ampio del termine. Ecco la parola che fa tanta paura quando si parla di sport. Per un semplice motivo: l’opinione di tanti, giornalisti compresi, è che lo sport dovrebbe essere separato da tutte le altre questioni. Politica, economia, società da una parte e sport dall’altra non dovrebbero quasi mai intersecarsi, proponendo una lettura quantomeno forzata in un mondo in cui è quasi impossibile trovare settori che siano totalmente indipendenti e che non finiscano per avere punti di contratto con tutti gli altri.
Ma laddove lo sport è diventato esso stesso un settore fondamentale in tante economie (la nostra compresa), in cui girano enormi interessi economici e affari, la politica non può non avere un ruolo. Non può non rivolgere un occhio interessato a un mondo che attira così tante attenzioni, che può trasformarsi a sua volta in un enorme vantaggio economico, commerciale, d’immagine. Lo hanno capito tanti leader politici in questi decenni, soprattutto di quei Paesi in cui si sono affermati dei regimi più o meno dittatoriali, ma anche i grandi responsabili di Federazioni e società sportive. Ma anche le organizzazioni criminali, che hanno cominciato a puntare su questo business per promuovere i propri affari.
È quasi matematico che, in un settore sempre più ricco, si possano inserire anche malaffare e corruzione. Ed è qui che, forse, non è stato fatto ancora abbastanza in termini di racconto della verità, spesso ostacolata in maniera del tutto contraria a qualsiasi libertà d’espressione. Lunga vita alle inchieste alla “Football Leaks”, che sanno spegnere le luci che illuminano il terreno di gioco, ma sanno poi accenderle su ciò che accade dietro le quinte. Lunga vita chi ha raccontato come criminalità organizzata e mafie si siano inserite nelle tifoserie, italiane e non solo. Raccontare lo sport, andando anche oltre lo sport: è questa la grande sfida che il giornalismo sportivo deve sentirsi ora pronto ad affrontare, creando sempre più inchieste, sempre più figure adatte per affrontare in maniera multidisciplinare un mondo che, piaccia o meno, non è più isolato in se stesso.