Il calcio è la terza azienda d’Italia, ma Spadafora (forse) non lo ricorda
Se n’è uscito così il ministro Spadafora, nella tranquilla serata di una domenica che chiude le porte alla Fase-1. Con una nonchalance da bar sport. Perché dopotutto serve immedesimarsi, no? Ordunque: parliamo di sport come chi di sport ne vive. Al bar, con linguaggio da bar. Ah: mettendoci dentro un po’ di disagio moderno, che fa molto social. E con un messaggio breve e conciso, che desse la giusta sensazione di roba scritta di fretta per le troppe cose da fare. Un qualcosa che arrivasse e al tempo stesso affermasse, e che non consentisse repliche. “Oh, belli, io c’ho da fare: così è deciso, e così sarà”. Con super-chiosa finale: “lasciatemi pensare alle cose serie”. Scritto tra le linee, ma il senso è quello. No?
Due punti, da discutere. Il primo: i continui errori sul piano comunicativo di Spadafora. Continui. Senza allargare il cerchio e inglobare il presidente Conte, che tra congiunti e restrizioni ha creato decreti che per comprenderli serve un cervello da Beautiful Mind, restiamo nel campo dello Sport. Alle porte della Fase-2, avete realmente capito, voi, come evolverà la situazione sportiva in Italia? C’è la ripresa per gli allenamenti individuali, non per quelli collettivi, sì a corse da soli lontani da casa, non in compagnia, sì se conviventi, ma a due metri di distanza, solo con mascherine, nei parchi pubblici, non nei centri sportivi, che sarebbero perfino più attrezzati. Post di qua, comunicati di là, chat Whatsapp da un lato, ospitate in radio e tv dall’altra. Chiarezza, poca. Improvvisazione, troppa, sensazione, una: Spadafora non ha le idee chiare, e se il ministro dello sport non ha le idee chiare, proprio tutta questa garanzia, l’Italia sportiva, non l’avverte.
Secondo punto: il calcio, trattato come fosse un diversivo. Un passatempo. Lo è, sicuramente, ma il calcio è soprattutto lavoro. Il calcio è la terza azienda italiana per fatturato. Il calcio fattura milioni, crea occupazione. Ricordiamolo, sottolineiamolo: non solo ai milionari che scendono in campo, ma anche e soprattutto a quel mondo di: tecnici, professionisti, giornalisti, medici, forze dell’ordine, operatori del settore, dirigenti, steward, infermieri, avvocati, pubblicitari, paninari, perfino venditori di snack e bevande dentro e fuori lo stadio. Il calcio muove soldi, dà da mangiare alle persone, e che non vi sembri esagerato tutto ciò, non è retorica: è verità, il sistema calcio non è solo divertimento, è un settore che dà lavoro e produce introiti. Il calcio è la terza industria del Paese, con un fatturato di circa 5 miliardi all’anno. Ma Spadafora? Pensa alle cose serie: centri sportivi, palestre di danza, piscine, che “devono ripartire al più presto”. Ma sicuramente, assolutamente sì: tutti hanno bisogno di ripartire, e di lavorare. Ma che c’entrano le palestre, le piscine, con il discorso calcio? Che c’entrano, insieme, in quel post? Che fosse un post acchiappa-consensi? Mh. Sensazione piuttosto forte.
Su allenamenti e campionato, in poche parole, la penso così: pic.twitter.com/QCapYmkgJh
— Vincenzo Spadafora (@vinspadafora) April 30, 2020
Il calcio deve ripartire. Non per divertimento (come il Ministro dichiara nel video qui sopra, considerandolo simbolo di “leggerezza, passione, gioco”) ma perché è un settore che muove l’economia italiana, attorno a cui ruota un’infinità di soldi e di posti di lavoro. E ad alti livelli, avrebbe tranquillamente le strutture e le possibilità per farlo, in assoluta sicurezza. Lo scorso 21 aprile, su Sportitalia, il presidente del CONI, Giovanni Malagò, si chiese “ma chi è quel matto che possa pensare che il calcio-azienda non si debba al più presto rimettere in moto?” (QUI il link alla trasmissione, dal minuto 10.10). Ministro Spadafora, con quel post, qualche dubbio al riguardo rischia di sollevarlo.