Durante questa rubrica vi abbiamo raccontato le origini del calcio, fin dagli albori. Adesso, durante questa undicesima e ultima puntata, andremo un po’ più avanti nel tempo, perché l’introduzione dei cartellini (giallo e rosso), a disposizione dell’arbitro per prendere provvedimenti nei confronti dei giocatori, è abbastanza recente. Inizialmente il calcio era considerato un gioco per gentiluomini, e infatti non erano previste particolari attenzioni nei confronti di queste situazioni: ad esempio erano i capitani a decidere, con la massima correttezza, di espellere un loro compagno.
Con il passare del tempo il calcio si è evoluto, affidandosi alla figura dell’arbitro. Ma l’utilizzo dei cartellini, come dicevamo, non trova riscontro addirittura fino ai Mondiali del 1970. Sembra incredibile, ma è dovuto passare un secolo prima che le norme introducessero questo sistema di “punizioni individuali”. Secondo la FIFA la partita che dette il la a questo cambiamento fu Argentina-Inghilterra, quarti di finale dei Mondiali del ’66. Fu una partita molto dura, caratterizzata da molti falli e continue interruzioni (l’argentino Rattín fu allontanato dal campo “a gesti”). Senza considerare che la differenza linguistica finì per aggiungere ulteriore confusione tra l’arbitro e i 22 in campo.
L’ex arbitro e direttore della FIFA Ken Aston, mentre era fermo al semaforo con la sua automobile, ebbe un’illuminazione. Pensò a un sistema di cartellini, appunto, i cui colori erano giallo e rosso, il cui codice cromatico è ufficialmente riconosciuto. Aston spiegò la sua idea alla FIFA, che la mise subito in pratica a livello sperimentale, nei Giochi olimpici in Messico nel ’68. Il risultato fu stupefacente: anche di fronte a differenze di lingua, la comunicazione era facilitata dall’esibizione dei cartellini. Così venne decisa la definitiva introduzione di essi: il Mondiale messicano del ’70 fu la prima competizione ufficiale a utilizzare questo nuovo sistema.
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