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Pallone in soffitta – Edmondo Fabbri, trent’anni di solitudine

Un solo evento, una data, una partita. Una storia scritta a caratteri cubitali sul grande libro del calcio italiano, ma per i motivi meno positivi. La vicenda di Edmondo Fabbri, ct azzurro ai Mondiali 1966, fu segnata dalla clamorosa sconfitta contro la Corea del Nord che lo “condannò” a trent’anni di solitudine sportiva. Fino alla fine dei suoi giorni.

ATLETA. Edmondo Fabbri, ravennate di Castelbolognese e classe 1921, era stato un buon calciatore in gioventù. Il periodo più prolifico lo aveva vissuto nell’Atalanta, vestendo anche le casacche di Inter e Sampdoria in una carriera interrotta dalla Seconda Guerra Mondiale. Un’ala dalle discrete capacità realizzative e maggiormente specializzato nel suggerimento per i compagni d’attacco. L’ultima avventura sul campo è con il Mantova, piazza che sarà il trampolino di lancio della nuova carriera di Fabbri come allenatore.

Con Rivera e Lodetti nel 1963

EXPLOIT. Proprio con il sodalizio lombardo, “Mondino” compie un’impresa eccezionale: porta in rapida successione la squadra dalla Serie D alla massima categoria, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, completando la scalata nel 1961. Il nono posto in A nel torneo seguente è il suo passo d’addio a Mantova ma pure il preludio per quella che si rivelerà l’esperienza più importante e al tempo stesso fatale per la sua carriera: l’investitura a nuovo commissario tecnico della Nazionale dopo la sciagurata Coppa Rimet in Cile. Il ravennate costruisce una squadra dosando elementi dell’Inter e del Milan, del Bologna e della Juventus, con qualche rara eccezione. L’Italia manca la qualificazione alla fase finale dell’Europeo ’64: tuttavia, la sua posizione resta ben salda.

Il fatale gol di Pak doo-Ik

BEFFA. Si apre il cammino verso il Mondiale in Inghilterra. La Nazionale stacca il biglietto per la Rimet sciorinando un ottimo calcio, segnando tantissime reti anche nelle amichevoli di avvicinamento: le aspettative sono molto alte. D’altronde, il tasso tecnico complessivo poteva contare su elementi del calibro di Mazzola, Rivera, Bulgarelli. Fabbri aveva perso l’ala destra Mora nel dicembre ’65 per un grave incidente, i giovani Bertini e Riva si unirono alla comitiva per fare esperienza fuori dalla lista dei convocati comunicata alla FIFA. Il debutto in terra d’Albione vede gli azzurri opposti al Cile, nel seguito della celebre “Battaglia di Santiago” di quattro anni prima. Il successo per 2-0 fece partire la Nazionale con il piede giusto, ma qualcuno non era rimasto per nulla contento della prestazione: proprio Edmondo Fabbri che, come rivelò in seguito qualche suo giocatore di allora, disse al gruppo che giocando in quel modo l’Italia non sarebbe andata lontano. Fu per questo che attuò un turnover contro l’Unione Sovietica nel secondo match, concluso con una sconfitta (0-1) ma non decisiva per proseguire l’avventura. A quel punto, il destino azzurro era legato alla terza partita con i carneadi della Corea del Nord. Ferruccio Valcareggi, strettissimo collaboratore di Fabbri, visionò i dilettanti asiatici apostrofandoli con il nomignolo “Ridolini”. L’Italia evidentemente prese sotto gamba l’incontro, risolto dal diagonale di Pak Doo-ik che beffò Albertosi e condannò la Nazionale all’eliminazione, dopo oltre un tempo giocato in dieci per l’infortunio di Bulgarelli. Gli azzurri avevano sciupato numerose palle-gol, in particolare con il bolognese Perani. Ma la sfera non volle saperne di entrare. Il 19 luglio 1966, al triplice fischio della gara di Middlesbrough, l’Italia sportiva visse la beffa più clamorosa della sua storia. Quella che veniva indicata alla vigilia tra le favorite del torneo, tornò a malincuore a casa con un fardello di polemiche senza fine. E accolta all’aeroporto da un fitto lancio di pomodori…

EPILOGO. Fabbri si assunse le responsabilità del tonfo, una figuraccia senza precedenti. Il presidente federale Franchi criticò l’andamento della spedizione e soprattutto la sconfitta con i nordcoreani: per il tecnico quella fu l’ultima partita in carica da selezionatore azzurro. Edmondo Fabbri si ritrovò solo, non si capacitava per la pochezza che i suoi avevano manifestato rispetto alle attese. Rimuginava, Mondino. Tanto che iniziò a vedere un complotto contro di lui. Puntò il dito sul medico azzurro Fini, per alcune fiale rosa che avrebbe somministrato ai giocatori. Se la prese con la Federazione, rea di non averlo supportato abbastanza nel suo ruolo. Concluso il contratto, l’occhialuto “Mondino” provò a riabilitarsi cercando prove sufficienti della batosta di Middlesbrough, scagliandosi contro la Nazionale. Diversi suoi giocatori in azzurro firmarono il dossier da lui compilato, che ovviamente non ebbe esito. Da quel momento Fabbri non riuscì a scrollarsi più di dosso l’ingombrante peso della disfatta, tanto che da lì in poi, nonostante altre esperienze in panchina, avrebbe visto il proprio nome accostato principalmente alla beffa contro la Corea del Nord per il resto dei suoi giorni. Edmondo Fabbri è morto l’8 luglio 1995: storia di un uomo di calcio molto preparato, ma non sostenuto adeguatamente e forse colpevolmente messo da parte. Per una sola, maledetta partita.

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