I campionati dei dilettanti sono stati i primi a fermarsi in Italia a causa dell’emergenza Coronavirus. Inevitabilmente, verrebbe da dire, considerando i maggiori rischi che si corrono a bassi livelli, attorno a cui non girano tutti gli interessi di diritti tv e soldi delle massime serie professionistiche. Uno stop a volte totale e a volte soltanto parziale, ma che ha seguito in maniera quasi parallela la diffusione del virus: prima Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, poi il resto d’Italia. Ci sono squadre che non giocano da un mese, avendo cominciato il proprio stop nel fatidico week-end del 22-23 febbraio: quello dell’esplosione dei casi a Codogno prima e nel Lodigiano poi.
Ma se nelle massime categorie l’obiettivo sarà definire il “quando” si tornerà in campo, con l’obiettivo di concludere a tutti i costi la stagione, nel mondo dei dilettanti sembra più una questione legata al “se” si tornerà in campo. Più no che sì, tra l’altro, e le ragioni sono ben spiegate in una lettera firmata da 28 società piemontesi dilettantistiche e inviata agli organi federali:
“Molti di noi vivono e operano in zone che fanno dell’attività turistica la loro unica fonte di lavoro, molti di noi vivono e lavorano in zone in cui le aziende si sono trovate improvvisamente a dover rallentare la produzione. Molti di noi vivono e lavorano in questo Paese e dovranno fare i conti con le gravi ripercussioni finanziarie che questa pandemia sta provocando. In questo momento le nostre energie dovranno essere veicolate a pensare al bene dei nostri dipendenti, delle loro e delle nostre famiglie. Dovremo recuperare il tempo che si è improvvisamente bloccato, congelato, in questi mesi. Il motivo per cui ci siamo aggregati è che abbiamo a cuore questo sport, abbiamo a cuore i nostri ragazzi, abbiamo a cuore il futuro delle nostre società. Tutto questo, se ora non ci fermiamo, potrà essere messo a rischio.”
“Senza garanzie di sicurezza sanitaria, visto che non abbiamo a disposizione dispositivi e persone per poter garantire ai nostri ragazzi l’assenza di contagio (se calciatori professionisti di squadre professionistiche hanno contratto il virus, nonostante i controlli specialistici ai quali sono sottoposti quotidianamente, come possiamo pensare di farlo noi?), finire una stagione che potrebbe protrarsi fino a chissà quando vuol dire inevitabilmente sottrarre al futuro preziose risorse, umane ed economiche. Oggi la salute vale più di qualsiasi classifica o partita. Gli ospedali della vicina Lombardia sono al collasso.”
“Non possiamo pensare di sottrarre un medico per controlli sui nostri tesserati, né di costringere eventualmente alla quarantena venti, quaranta o cento famiglie, oltre alle responsabilità penali che, in caso di contagio, potrebbero essere imputate ai presidenti. Non siamo più disposti a proseguire i campionati e confidiamo che la nostra presa di posizione possa essere di incentivo e di sostegno agli organi competenti, per arrivare a una decisione difficile, dolorosa e scomoda, ma necessaria”
Anche per i dilettanti, lo stop teorico dovrebbe terminare il 3 aprile. Nei fatti, tutti già sanno che si andrà ben oltre quella scadenza, anche ai massimi livelli. Difficile pensare che nell’arco di poche settimane si risolverà un contagio che, con ogni probabilità, non ha ancora raggiunto il suo picco. E anche quando si arriverà a quel punto, comincerà la delicata discesa e lo sport rimarrà inevitabilmente in secondo piano. La lettera lo spiega bene: prima bisognerà pensare a salvare il nostro sistema sanitario dal collasso, poi a riprendere le nostre vite normali soprattutto nel mondo del lavoro e solo successivamente torneranno i luoghi di aggregazione. Un processo lungo per chi gioca in Serie A, ma ancora di più per chi disputa campionati dalla Serie D in giù.
In questi giorni, tanti presidenti, allenatori e giocatori si sono espressi nel senso di una conclusione anticipata del campionato. Certo, c’è chi ancora resta fiducioso ed è convinto che in un modo o nell’altro si riuscirà a concludere la stagione, ipotizzando anche un forcing finale con gare da disputarsi al week-end e negli infrasettimanali. Lo ha detto anche il vice presidente della Lega Nazionale Dilettanti Morgana, auspicando una conclusione dei campionati a fine giugno, massimo inizi luglio.
Restano ipotesi, tuttavia, che rischiano di costare tanto caro alle società dilettantistiche e che non tutti potrebbero essere in grado di sostenere. Prolungare di uno o addirittura due mesi la naturale conclusione della stagione (per la gran parte delle squadre, prevista poco prima della metà di maggio) può diventare un ostacolo insormontabile per società che faticano addirittura ad arrivare alla fine dell’anno. C’è un solo modo per provare a compiere quest’impresa e portare a termine la stagione regolare: un sostegno economico molto importante da parte di Federazioni e Stato. Ma bisogna capire se il gioco vale la candela.
E se ci si ferma, che succede? Qui cominciano già maggiori diverbi, non dissimili a quelli che abbiamo visto in Serie A. C’è chi ipotizza un annullamento totale della stagione, mentre altri auspicano un congelamento della classifica attuale, con conseguenti promozioni e retrocessioni. Ma sono tutti discorsi rimandati: ora si pensi alla salute e alla ripresa del nostro Paese.
Razzie di Calcio – Marzo 2020 #3