È difficile catalogare Josip Iličić. Circoscriverlo in una zona di campo è praticamente impossibile. Trequartista, seconda punta, attaccante esterno, centravanti, Iličić può fare tutto. Anzi, sa fare tutto. Lo ha capito per primo Gasperini, che gli ha cucito addosso un abito perfetto per il suo gioco. E che lo ha inserito in un meccanismo collettivo in cui le doti del singolo vengono comunque esaltate. Il punto è proprio questo: l’Atalanta è innovativa, mostra un’organizzazione che pochi in Europa hanno. Ma senza la classe dei suoi calciatori più tecnici l’operosità del gruppo sarebbe vanificata. Tutti sono al servizio di tutti.
Talento inespresso. Qualche anno fa era questa l’opinione comune su Josip Iličić. Uno di quei (tanti) giocatori che sprigionano talento ma che sono destinati a una carriera di basso profilo. Gli veniva imputato di essere troppo scostante e discontinuo. E invece, a 32 anni compiuti, nel momento in cui si può generalmente pensare a una flessione, Iličić ha trovato quella continuità di rendimento che gli era sempre mancata. La maturazione calcistica è arrivata più tardi del previsto, quasi sul filo di lana. Ma l’Atalanta adesso può godersi un artista del pallone. Un calciatore che scolpisce, pennella, crea.
Quattro gol. Tutti suoi. Che hanno permesso all’Atalanta di raggiungere il punto più alto della sua storia pluricentenaria. Anche nel ritorno a Valencia, in una gara intorpidita dall’assenza di pubblico sugli spalti, Iličić ha acceso su di sé i riflettori. Dopo nemmeno due minuti, con la serie di serpentine e doppi passi che hanno costretto Diakhaby a commettere fallo da rigore. Da una sua iniziativa è arrivato anche il secondo penalty, trasformato ancora una volta con grande freddezza. Lo sloveno ha continuato a fare la sua gara, mettendosi a disposizione della squadra. Si è sacrificato, anche in fase di copertura.
Nel secondo tempo la chiusura del cerchio. Si è caricato la squadra sulle spalle, ridimensionando subito le timide velleità del Valencia, che nel frattempo si era portato sul 3-2. Un dribbling secco, un controllo perfetto e un sinistro chirurgico che si infila alle spalle di un incolpevole Cillessen. Ma non è finita. Perché Josip non vuole partecipare alla storia, la vuole riscrivere. E così trova la quarta gioia personale: ancora una volta di sinistro, stavolta con un piattone indirizzato nel sette. È l’apoteosi. Per l’Atalanta, che conquista alla sua prima partecipazione i quarti di Champions League. Per Iličić, che finisce nel ristretto club dei “pokeristi” di Champions. Insieme a Marco Van Basten (quattro gol all’IFK Goteborg nel 1992/93), Simone Inzaghi (Lazio-Olympique Marsiglia 5-1, 1999/2000) e Andrii Shevchenko (Fenerbahce-Milan 0-4, 2005/06), adesso c’è anche un ragazzone sloveno che ha finalmente trovato la sua consacrazione artistica.