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Il Coronavirus e il calcio lontano un metro

Sono giorni che assistiamo a proposte e decisioni, prima ufficializzate poi annullate, magari trasformate, per andare incontro a chi protesta, per evitare ritardi eccessivi, per riportare ordine in un mondo del calcio che sta subendo passivamente, ciò che sta combinando non il Coronavirus, ma chi sta provando ad arginarlo.

Un occhio all’estero: linea dritta, organizzazione. La Premier annuncia che gradirebbe non giocare piuttosto che farlo a porte chiuse, soluzione plausibile solo per una e una sola giornata, per la FA. In Svizzera tutto fermo per almeno altre tre settimane, in Champions ed Europa League gare a porte chiuse per le italiane. Condivisibili o meno, son scelte, precauzioni, esagerate o meno son decisioni.

Fermezza. Ciò che servirebbe in casi del genere, e invece ogni 24 ore cambia qualcosa entro confine. E quanto rumore fanno le proteste di Zhang per Juventus-Inter che finalmente si giocherà domenica sera, le partite con o senza tifosi a seconda di categoria e residenze, e le scelte del Prefetto di Torino di rinviare Juventus-Milan di Coppa Italia. Che in origine andava giocata senza tifosi residenti nelle zone a rischio, poi il fermate tutto che non si sa mai.

Serata tribolata, quella di martedì scorso in Italia, ricordate? Quando si era sul punto di studiare, ragionare e stabilire che fine fare ai match rinviati tra Coppa Italia, Serie A e perché no, Serie B e serie inferiori, la notizia che arriva dal Governo, a cui è stato chiesto dalla Commissione di sicurezza di evitare per un mese manifestazioni, tra cui quelle sportive, per garantire la distanza di sicurezza di un metro. Ma basta davvero giocare a porte chiuse? Ma non siamo di nuovo là, al punto di partenza? Serie A a porte chiuse, vuol dire brand de-valorizzato, ciò che la Lega Calcio sperava di evitare qualche giorno fa rinviando Juve-Inter, inizlalmente stabilita a porte chiuse.

Caos, totale, e la sensazione… è che siamo solo all’inizio.