La breve parabola di un’ala olandese talentuosa, a cui il destino non ha fatto sconti: Rob de Wit, un campione bloccato solamente dalla malasorte.
INIZI. Rob de Wit nasce a Utrecht (Olanda) l’8 settembre 1963. Un’ala sinistra d’altri tempi, rispetto a oggi: scatto bruciante, la voglia sempre presente di puntare l’uomo e da superare a tutta velocità. La porta avversaria, e non solo il suggerimento, è l’obiettivo principale nelle scorribande sulla fascia sinistra. Un numero 11, si potrebbe dire per rendere meglio l’idea. Rob cresce e debutta calcisticamente nell’Utrecht, vicino a casa. Arriva con un attimo di ritardo al professionismo, a 19 anni. Ma appena fa vedere di che pasta è fatto, de Wit dimostra di essere pronto per recuperare il tempo perduto. Quando arriva in prima squadra è il 1982. Due stagioni, condite da 7 reti complessive in campionato, lo mettono in luce agli occhi di appassionati e addetti ai lavori. Tanto che la società più gloriosa d’Olanda, l’Ajax, decide di ingaggiarlo. Siamo nel 1984.
LANCIERI. L’allenatore che lo accoglie nei lancieri è Aad de Mos. Accanto a sé, in attacco, de Wit trova un certo Marco van Basten già formidabile cannoniere. La coppia dialoga a meraviglia, le reti fioccano. Si tratta della stagione in cui l’Ajax demolisce i lussemburghesi del Differdange (14-0) in Coppa Uefa, massimo bottino del club in Europa ancora oggi. Le prestazioni del ragazzo di Utrecht, che imperversa sulla fascia mancina senza soste, gli valgono il debutto in Nazionale già durante l’annata d’esordio in biancorosso. Esordisce il 1° maggio 1985 contro l’Austria, nelle qualificazioni a Messico ’86. Nella gara successiva, durante Ungheria-Olanda, realizza la sua prima rete con gli arancioni: un gol stupendo, partendo dalla fascia sinistra e saltando gli avversari come birilli. Il pallonetto mancino sull’uscita del portiere è la ciliegina sulla torta, da spellarsi le mani a furia di applausi. Sembra nata una stella del calcio internazionale, il destino è però in agguato.
DRAMMA. Rob de Wit realizza in questo modo un gol decisivo, determinante per portare l’Olanda allo spareggio contro il Belgio per un posto al Mondiale. Gli arancioni non ce la fanno, i diavoli rossi hanno la meglio. Il calciatore si reca in vacanza in Spagna, lì però si consuma un dramma che cambia la sua esistenza in un attimo. De Wit rimane vittima di un’emorragia cerebrale: trascorrono settimane di cure in Svezia, tra consulti medici e speranze. Tutto inutile. Quel magnifico talento è costretto a lasciare l’attività, ad appena 22 anni. Un’ingiustizia per lui, in primis, e per il bel calcio. A causa di questo incidente perde tutto ciò che si era costruito e avrebbe potuto ottenere, dato che davanti lo attendeva una lunga carriera. Avrebbe dovuto esserci pure lui nell’Olanda campione d’Europa nel 1988, chissà quanti altri trofei (riesce a conquistare un campionato e una coppa d’Olanda) e quante gioie avrebbe potuto vivere. Chiude con 103 presenze e 23 reti in campionato, più appena 8 gettoni (con 3 gol) in Nazionale. Viene organizzato in suo onore un testimonial match, carico di emozione e malinconia. Rob subirà altri due episodi simili nel 1993 e nel 2005, a cui è fortunatamente sopravvissuto.
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