L’amore verso un campione che ha scritto la storia di un club, spesso, anche senza volerlo, assume l’amaro potere di offuscare gli occhi e le menti dei tifosi. Successe a quelli della Juventus con Alessandro Del Piero, non comprendendo la scelta drastica di Agnelli e Conte di puntare su giocatori in rampa di lancio per una Juve capace di dominare in Italia e sfiorare due volte, con Allegri in panchina, l’agognata Champions League. Lo stesso per i tifosi della Roma. L’addio forzato di Totti e De Rossi ha chiuso un’era, ne ha aperto un’altra che oggi prosegue con la partenza di un “Romano de Roma”, ma meno amato rispetto agli altri due: Alessandro Florenzi.
Ed è tutto normale. Fa parte del lato oscuro celato nella parola Amore. Bambini che crescono con un mito e poi se lo vedono portare via, come accade con il giocattolo preferito. Il distacco è drastico, a tratti drammatico, per altri violento e incomprensibile.
Fu così nell’estate 2012 per i tifosi del Milan, privati del giocatore simbolo di quel momento e, più profondamente, di quell’attitudine a dover e saper sempre vincere. C’è stato un tempo prima di Zlatan e dopo Zlatan. Facciamo chiarezza: Ibrahimovic non è stato il più forte nella storia del club, anzi, messo in paragone con i vari Van Basten, Sheva, Weah e non solo, non rientra nemmeno tra i primi 3 e forse nemmeno tra i primi 5. Però ha segnato un’epoca. L’ultima Berlusconiana. Non è un caso se dopo il suo addio il Milan è entrato in un tunnel dal quale oggi non sembra saper uscire. Anni bui di allenatori non adeguati, di giocatori sopravvalutati, di proprietà fantasma e dirigenti incompetenti, in cui uno con la personalità di Ibra avrebbe certamente fatto la differenza. Nel frattempo lo svedese è andato avanti, tra Parigi e Manchester, con una tappa a Los Angeles, la casa di Kobe, con il Milan nella testa e nel cuore, cercando sempre l’occasione per tornare, riuscendoci in questo 2020.
Però il tempo passa, anche per lui, e pensare che Ibra sia quello di otto anni fa è un errore madornale che i tifosi del Milan non possono commettere. Due gol in cinque presenze, mettendoci dentro la Coppa Italia. Media positiva, che maschera errori sotto porta banali per uno come lui. L’Ibra 2.0 è un giocatore diverso, un regista avanzato che detta tempi e movimenti a giocatori non in grado di reggere il peso e il talento dello svedese. Però Ibra non è lo stesso. In area non è più l’attaccante letale in grado di dominare i primi 15 anni degli anni 2000. La corsa non può essere la stessa se hai 38 anni, se arrivi da un campionato come quello americano e se l’ultima esperienza europea si è conclusa con un grave infortunio.
C’è una cosa, però, da sottolineare: Ibrahimović ha ridato vita a questo Milan. Perché il campo non sempre è tutto ciò che conta. Ibra ha portato personalità, ordine, esempio e attaccamento, quello che è mancato negli ultimi otto anni, quello che serviva ai tifosi del club italiano più vincente al Mondo. Perché non sarà più lo stesso, ma uno come Zlatan serviva come il pane.