Pietro Anastasi, nei nostri ricordi di bambino, non era solo un bomber di qualità (105 reti in Serie A tra Varese, Juventus, Inter e Ascoli, messe a segno in 338 gare), ma uno degli attaccanti avversari più temuti e, quindi, segretamente ammirato, nelle nostre domeniche d’infanzia, passate all’ascolto di “Tutto il calcio minuto per minuto”.
Anastasi era il soprannome dato, in oratorio, al ragazzo più rapido e sgusciante, a quello che trovava sempre la rete, casualmente siciliano come lui, pur non essendo juventino. Anastasi era il nome che temevi venisse pronunciato da Ameri o Ciotti quando, a un certo punto, l’intervento da Firenze o Roma veniva interrotto dagli effetti provenienti da un altro stadio.
“Ha segnato la Juventus: rete di Anastasi” erano parole in grado d’ingrigire una domenica a San Siro, anche se stava splendendo un bel sole primaverile. A un certo punto tutto sembrava inutile: il sostegno regalato sino a quel momento a Rivera e compagni, il risultato sul tabellone, magari favorevole. “Rete di Anastasi” era una sorta di porta che si chiudeva, la certezza che dopo, a casa, in televisione, in testa alla classifica ci sarebbe stata un’altra squadra, e non la nostra.
Ma non si poteva non ammirare il centravanti bianconero, così diverso da Roberto Bettega, altro grande calciatore in maglia juventina. A Milano, sponda rossonera, davanti giocavano Pierino Prati, Gianni Rivera, Alberto Bigon: non proprio gli ultimi della classe. Però, la Stella non arrivava. Più tardi, da Varese (lo stadio dove Anastasi era esploso) arrivò Egidio Calloni che, purtroppo per i tifosi del Milan, ebbe un destino differente da chi lo aveva preceduto.
Nel frattempo, tanti secondi posti, la Fatal Verona, i contrasti Rivera/Buticchi, l’addio (un arrivederci, ma non lo si poteva sapere) di Rocco, risultati altalenanti, anni difficili, anche se con qualche soddisfazione (la Coppa delle Coppe nel 1973, per esempio). E sullo sfondo, Anastasi a segnare gol a raffica, la Juventus a festeggiare scudetti in serie, interrotta 2 volte (da Lazio e Torino), e noi a detestarlo in pubblico e ad ammirarlo in segreto, colorando di rosso le righe bianche della maglia della Juventus su una figurina Panini, nascosta in un cassetto che solo noi potevamo aprire.
Poi, in una calda estate degli anni ’70, la beffa: Inter e Juventus si accordano per lo scambio del decennio. Boninsegna (un altro di quelli che invidiavamo in segreto agli avversari di allora) va a Torino, in cambio proprio di Anastasi. E lì accadde l’imponderabile: i compagni di classe interisti, con i quali in pubblico condividevamo l’avversione per il centravanti dell’odiata Juventus, si scoprirono suoi ammiratori. Uno di loro arrivò a scuola con la figurina Panini del giocatore, con le righe bianche colorate di azzurro: la stessa che avevamo a casa noi.
Evidentemente, non eravamo i soli a sognare. La storia ci racconta di come Anastasi, a Milano, iniziò la sua parabola discendente, con Boninsegna che, al contrario, a Torino regalò ancora scampoli di grandissima classe. E, naturalmente, campionati (e non solo) alla Vecchia Signora. Anche per gli interisti, come per noi dirimpettai, ci fu quindi un Altafini. Ne avrebbero fatto sicuramente a meno: ma il calcio sa essere, in certi casi, democratico.
Di Anastasi, in maglia nerazzurra, ricordiamo un gol annullato in un derby drammatico, in una stagione dove il Diavolo si salvò in un drammatico scontro diretto a San Siro contro il Catanzaro. Ancora non lo sapevano, i tifosi rossoneri, ma l’appuntamento con la cadetteria era stato solo rimandato di pochi anni. E la beffa fu che la retrocessione avvenne con, sulla maglia, la tanto sospirata Stella, sogno della nostra infanzia.
Anastasi, nel frattempo, aveva lasciato l’Inter per l’Ascoli (proprio nella stagione della Stella per il Milan di Liedholm, Rivera e Colombo). Il caso volle che, come Altafini, scelse il Canton Ticino (non il Chiasso, come il fuoriclasse brasiliano, ma il Lugano) per chiudere la sua carriera calcistica, nei primi anni ’80. Sempre per caso, da anni siamo gli inviati di MondoSportivo per il calcio svizzero.
E così, sabato, in tribuna, abbiamo parlato con un paio di anziani tifosi elvetici, presenti all’amichevole con il Kriens, che ne ricordavano le gesta ticinesi (10 reti in 14 presenze, in una stagione che vedeva il Lügan militare in seconda divisione). La vita sa regalare incroci sentimentali, a tutti i livelli.
La sua morte ci ha colto, francamente, impreparati. Non è il primo giocatore di quella generazione ad averci lasciato: tuttavia, Pietro Anastasi non era uno qualunque, ma uno che ci faceva sognare, pur non indossando la maglia per la quale trepidavi. Uno come Gigi Riva, come Chinaglia, come De Sisti, Savoldi, Juliano o il più temuto di tutti: Bonimba. Eroi che non possono morire, per definizione, anche se Giorgione, qualche anno fa, si è congedato da noi. Troppo presto, ci viene da dire.
Gli eroi del calcio di noi bambini, che giocavano però con gli altri. Che vedevi dal vivo, a colori, una volta l’anno, quando la televisione era in bianco e nero. Che temevamo, che magari fischiaviamo ma non per spregio: perché speravamo di spaventarli, di deconcentrarli. E dentro di noi, quando sbagliavano, pensavamo non che fossero scarsi, ma allo scampato pericolo. E che potevamo finalmente tifare liberamente, dando sfogo ai nostri veri sentimenti, quando giocavano con la maglia azzurra (25 presenze e 8 gol, per lui, con la Nazionale maggiore).
Non abbiamo nostalgia di quei tempi. Al di là dell’overdose di calcio odierna che qualcuno critica (ma si può sempre cambiare canale, in fondo), non rimpiangiamo anni nei quali non esistevano le radio libere, con la RAI si collegava con Tutto il calcio minuto per minuto solo alla fine dei primi tempi, lasciandoti in apnea tre quarti d’ora, a meno di non essere allo stadio. Non subiamo, insomma, il fascino della memoria per un’epoca dove si poteva vedere solamente, in differita, un tempo di una partita su otto.
Tuttavia, non possiamo non avere nostalgia della nostra infanzia, dei nostri sogni di bambini: quella ce la dovete concedere. Addio, Pietro. Con te se ne va una fetta della nostra infanzia. Certo, hai reso tristi tante nostre domeniche: ma sotto sotto abbiamo sperato, per anni, di leggere sulla Gazzetta che Buticchi ti aveva convinto a venire a giocare a San Siro. Rivera, Anastasi e Prati che giocavano insieme. Nel mio oratorio, qualche volta, era successo, attraverso i nostri amici identificati a loro per soprannome. E, manco a dirlo, non ce n’era stato per nessuno.