VAR e fuorigioco: così l’IFAB fa testacoda invece di svoltare
Nella grande confusione fatta di continui alti e bassi e sperimentazioni stagione dopo stagione, lo strumento del VAR aveva un’unica, grande certezza: l’applicazione dello strumento in caso di fuorigioco. Tra tutte le grandi novità introdotte negli ultimi anni, l’utilizzo di proiezioni 3D e di linee parallele create sui monitor per smascherare le posizioni irregolari anche di mezzo piede o pochi millimetri non era soltanto l’intuizione più geniale possibile per restare al passo con un calcio sempre più veloce e “difficile” per l’occhio umano, ma era anche la garanzia più oggettiva, assieme al sistema del Hawk-Eye del gol-non gol, esistente nel nostro calcio. Che l’assistente arbitrale riuscisse a beccarlo o meno, poco importava: davanti a una situazione così oggettiva, nessun tecnico, giocatore o tifoso poteva dire nulla, se non accettare la decisione.
La notizia delle ultime ore, invece, è proprio quella della volontà di abbandonare questa rigida oggettività da parte dell’IFAB, pronta a operare un nuovo cambiamento nell’applicazione della tecnologia sul fuorigioco: niente più valutazione di offside millimetrici, niente più vivisezione dell’azione, ma maggior potere al giudizio soggettivo dei guardalinee. E il motivo è proprio legato a come viene utilizzato il VAR, che impedisce spesso di scegliere il fotogramma esatto e di individuare il momento preciso in cui il passaggio è già iniziato (e in cui, pertanto, comincia la valutazione della posizione irregolare dell’attaccante). Con il rischio di individuare delle posizioni di fuorigioco che, in realtà, potrebbero non esserci o comunque non tali da far emergere un effettivo vantaggio del giocatore attaccante rispetto a quello difendente.
In altre parole, come ha spiegato il segretario generale Lukas Brud, se ci si ritrova a utilizzare 12 telecamere per individuare la posizione, forse manca quel criterio di “errore chiaro ed evidente” che resta il bersaglio principale nell’utilizzo del VAR, oltre a voler privilegiare le decisioni sul campo rispetto a quelle prese davanti a uno schermo.
È, in qualche modo, la teoria di chi ha contestato a lungo l’idea di punire sempre e comunque una posizione irregolare, mettendo in dubbio qualsiasi potenziale vantaggio di cui potrebbe beneficiare nella corsa il giocatore attaccante. Lo abbiamo sentito più volte, con tanti giornalisti e cronisti che anche in televisione o sui social si sono esposti in prima persona, sollevando i propri dubbi sulla necessità di utilizzare questo criterio eccessivamente oggettivo, isolandolo dal contesto del gioco.
Ma, soprattutto, è stato anche il pomo della discordia questa stagione in Premier League, dove una serie di fuorigioco sanzionati per pochi millimetri hanno fatto a lungo discutere, con tanti allenatori e tifosi che hanno attaccato la tecnologia per aver provocato un presunto “snaturamento” del gioco del calcio. E se degli otto membri dell’IFAB, quattro sono eletti dalle federazioni britanniche, era inevitabile che questi reclami finissero per influire profondamente anche nelle politiche dell’organo competente sulle modifiche al regolamento.
Il discorso dell’IFAB, però, risulta debole e, soprattutto, quasi estraniato dall’applicazione pratica del VAR in questi anni. Un’applicazione che ha lasciato spesso enormi margini di incertezza a cui hanno dovuto provvedere le Federazioni o, a volte, persino gli arbitri in campo rimanendo per diversi minuti a rivedere un’azione da monitor a bordo campo. È quel concetto di ritorno alla soggettività che fa acqua da tutte le parti, perché aprirà inevitabilmente le porte a un altro periodo di incertezze e sperimentazioni, quindi anche di errori. Il tutto basando il discorso su una logica che non sembra ammettere l’inevitabile margine di errore presente in tutte le applicazioni della tecnologia (Hawk-Eye compreso) e che soprattutto in Inghilterra (in cui, ricordiamo, l’arbitro non può andare a rivedere l’azione al monitor, ma viene suggerito dagli arbitri in postazione) è stato il punto centrale di questa lotta a un sistema mai del tutto accettato.
Ma sarà proprio sugli arbitri, che l’IFAB vorrebbe teoricamente proteggere, che graverà il peso maggiore di decidere le forme del nuovo perimetro di tolleranza e come verrà applicato, rischiando di aggiungere un nuovo elemento da analizzare a fondo, far comprendere a tutti gli arbitri prima e alle società poi. Come se le discussioni sui falli di mano non fossero state già delle sufficienti dimostrazioni di quanto tempo può essere necessario per fare passi avanti e trovare la spiegazione più oggettiva possibile per situazioni in cui viene lasciata intatta la discrezionalità dell’arbitro.