L’anno scorso, più precisamente il 16 aprile, molto in sordina e riportato solo da alcune testate locali, è stato assolto con formula piena perchè “il fatto non sussiste” Franco Di Sante, dirigente sportivo della squadra di calcio femminile di Castelnuovo Vomano (in provincia di Teramo). Il giudice del tribunale di Sulmona Marco Billi lo ha prosciolto dalle accuse di adescamento di minore e molestie.
Ma cosa aveva portato in Tribunale Di Sante? Il sessantenne era stato accusato di aver adescato e molestato telefonicamente una sua giocatrice di quindici anni: nello scambio di messaggi occorsi tra il maggio e l’agosto del 2015 l’uomo si era lasciato andare a dichiarazioni sempre più spinte, che sono partite da un “quanto sei bella”, giudizio comunque non penalmente rilevante, a un molto più pesante “se me la dai ti porto a Coverciano”.
In aula l’uomo ha ricostruito la vicenda, dicendo che quello era “solo un modo di scherzare” e, come riprova di questo comportamento, ha chiamato a testimoniare anche le altre madri delle calciatrici della squadra, le quali candidamente hanno ammesso che Di Sante era solito usare un linguaggio molto colorito e volgare con loro.
Non deve essere sembrato uno scherzo però ai genitori della quindicenne che, appena si sono imbattuti nella serie di messaggi sul telefonino della figlia, hanno denunciato il tutto alle autorità competenti e si sono fatti difendere dall’avvocato di parte civile Cristina Colantonio, che aveva chiesto una condanna a due anni di reclusione e ha illustrato come la ragazza frequentasse quella scuola calcio da quando aveva dodici anni, con i suoi genitori che l’avevano affidata a quelle persone in totale fiducia.
Qualche mese fa è arrivata l’assoluzione dal punto di vista penale per Di Sante: questo toglie in qualche modo gravità al suo comportamento dal punto di vista educativo? Oppure tutto ciò fa sorgere un inquietante interrogativo sul clima che vige in alcuni ambienti sportivi e giovanili femminili? A mio parere emerge chiaro un corto circuito, uno scollamento tra l’esempio dei valori che lo sport dovrebbe insegnare ai ragazzi e alle ragazze, figli delle battaglie fatte dalle calciatrici in questi anni sui valori del calcio femminile, e quanto emerso nell’aula di un tribunale. Fa ancora più effetto il silenzio che ha ammantato questa vicenda, una cappa che fa ancora più male. Abbiamo dovuto e voluto verificare di persona i fatti raggiungendo telefonicamente l’avvocato Colantonio, perchè abbiamo trovato la notizia incredibile, ed è emerso che è tutto vero (e per questo ringraziamo sentitamente l’avvocato che si è prestata a rispondere alle nostre domande). Lasciamo a ognuno di voi le valutazioni del caso.
PS Per dovere di cronaca, segnaliamo che la vicenda al momento è stata impegnata dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello de L’Aquila. Aspettiamo ulteriori sviluppi legali.