Chiunque di noi, nella propria attività lavorativa, ha vissuto un’annata con un solo giorno positivo: quello che sancisce la sua fine. E il 2019 di Alessandro De Marchi lo si può tranquillamente catalogare tra queste annate.
Il “Rosso di Buja” ha tutte le intenzioni di dimenticare alla svelta il suo primo anno in maglia CCC (continuazione della BMC, che ha dismesso a fine 2018). Eppure le premesse non erano state malvagie, considerando due “top 10” in due frazioni della Parigi-Nizza, compresa quella con il traguardo in ascesa al Col de Turini. Ma la primavera non è andata come previsto. Solo nell’Amstel Gold Race, il friulano è stato competitivo, giungendo settimo nella gara che ha visto brillare per la prima volta nel firmamento del ciclismo su strada dell’olandese Mathieu Van der Poel.
Poi, il primo periodo di stacco. Il rientro al Giro del Delfinato, con un terzo posto nella frazione con arrivo a Saint Jean de Maurienne. E poi il Tour de France, con il primo “intoppo” della stagione. Il 14 luglio, 9/a tappa, da Saint-Etienne a Brioude, un dritto in discesa e una caduta che gli procura una frattura alla clavicola. Conseguenze? Riposo di un mese e stagione praticamente compromessa.
C’è di peggio? Sì, purtroppo. Il 18 novembre, durante un allenamento a Buja, viene sfiorato da un’auto avendo un pesante alterco (eufemismo) con chi era al volante della stessa. Un bruttissimo episodio che De Marchi denuncia senza peli sulla lingua sui social, focalizzando l’attenzione sul numero sempre più elevato di incidenti (purtroppo, in diversi casi, mortali) che coinvolgono chi decide di passare delle ore in sella a una bicicletta.
Una denuncia forte, intensa, prorompente. Un gesto che forse rappresenta – a voler ben guardare – una vittoria ben più importante di quelle racchiuse negli almanacchi e negli albi d’oro.