Un calciatore può diventare mitico solitamente per le imprese sul campo. Le prodezze, lo stile, nel caso di un attaccante grazie ai gol. Ma non sempre quelli bastano: storia di Annibale Frossi, il goleador con gli occhiali.
FRIULI. Annibale Frossi nasce a Muzzana del Turgnano, piccolo paese friulano di un migliaio di abitanti (oggi ufficialmente senza provincia), il 6 luglio 1911. Attaccante dotato di rapidità e fiuto del gol, esordisce con la maglia dell’Udinese nella stagione 1929-30. Le sue qualità risaltano nel giro di breve tempo, ma non solo: diventa un calciatore facilmente riconoscibile per l’uso degli occhiali, a causa della miopia. Un fatto sicuramente inusuale, che lo costringe a giocare con la montatura tenuta al capo da un elastico. Frossi contribuisce alla promozione in B dell’Udinese e nel 1931 passa al Padova bissando la promozione in massima serie. Dopo due campionati con i biancoscudati cala sulla sua carriera la mannaia del servizio di leva: viene destinato a Bari, di nuovo in cadetteria. Fa bene e ritorna al Padova.
DESTINO. Nel settembre 1935 viene imbarcato per la guerra d’Etiopia in qualità di caporal maggiore di fanteria. A bordo della “Saturnia” attraccata al porto di Napoli, Frossi viene fatto sbarcare per ordine del gerarca Serena – originario de L’Aquila – per unirsi alla squadra aquilana con l’intento di portarla in Serie A. Le sue 9 reti non sono sufficienti all’impresa, però lo nota il commissario tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo, il quale sta preparando la squadra di esordienti per le Olimpiadi di Berlino 1936. Frossi tocca l’apice della carriera, quasi per caso. Trascina l’Italia alla medaglia d’oro con 7 reti in 4 partite, realizzando la doppietta decisiva nella finale contro l’Austria. L’exploit regala inaspettata fama al guizzante attaccante friulano, che viene acquistato dall’Inter per 50.000 lire. In nerazzurro, vicino al grande Meazza, gioca fino al 1942 vincendo due scudetti (1938 e 1940) e la Coppa Italia nel 1939.
POST CARRIERA. Frossi chiude la carriera dopo un’annata in B alla Pro Patria e 5 partite nel Como durante il Torneo Benefico Lombardo 1944-45 a conflitto in corso. Entra all’Alfa Romeo come capoufficio, ma la richiesta di un suo superiore lo porta a diventare allenatore. Nel 1951 porta il Monza tra i cadetti, l’Inter lo richiama inizialmente come direttore tecnico e poi come allenatore della prima squadra. Più avanti mette la sua firma su due salvezze consecutive sulla panchina del Genoa. Vive un’esperienza poco positiva al Napoli, torna al Genoa. Nel campionato di Serie A 1962-63 centra l’ultimo risultato degno di nota salvando il Modena dalla retrocessione, dopo essere subentrato a dicembre. Chiude con il calcio alla guida della Triestina. Resta nell’ambiente quale apprezzato collaboratore de Il Corriere della Sera e de La Stampa, commentando le vicende del campionato e meritandosi il soprannome di “Dottor Sottile”. Si spegne a Milano il 26 febbraio 1999, vinto da una polmonite.
Già pubblicati:
Un incantesimo dorato di nome Malines (12 settembre)
Roma-Dundee 3-0, quella pazza rimonta (19 settembre)
L’accecante e incompiuto miracolo Parma (26 settembre)
1992: l’ultima Jugoslavia mancata (3 ottobre)
Le parabole spezzate di Guerini e Roggi (10 ottobre)
Gli stranieri di Romeo Anconetani (17 ottobre)
Le due settimane che uccisero la Grande Inter (24 ottobre)
L’invasione scandinava degli anni ’50 (31 ottobre)
Vincenzo Scifo, fuoriclasse a metà (7 novembre)
L’ultimo volo di Marco van Basten (14 novembre)
La Polonia e la rivolta di Okecje (21 novembre)
Bruno Nicolè, campione di cristallo (28 novembre)
Bruno Mora, guizzi e malasorte di un campione (5 dicembre)
Il sequestro del bomber Quini (12 dicembre)
L’ultima fatica di Tommaso Maestrelli (20 dicembre)