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Da allenatore come da giocatore: così Arteta può salvare (ancora) l’Arsenal

Il dopo Unai Emery, alla fine, non sarà né un colpo da novanta come Carlo Ancelotti o Massimiliano Allegri, né un tecnico di una squadra di medio livello pronto a fare il salto di qualità. Dopo aver mantenuto in carica tre settimane uno storico, ex giocatore biancorosso come Ljungberg, l’Arsenal ha proseguito su una strada anche più “romantica”, quella più affascinante, ma allo stesso tempo una scommessa rischiosa: affidarsi a Mikel Arteta, ex centrocampista e capitano dei Gunners, vero e proprio leader della rosa allenata da Wenger dal 2011 al 2016, ma senza alcuna esperienza da manager in carriera, dopo aver trascorso gli ultimi 18 mesi come assistente di un grande maestro come Pep Guardiola.

Una scelta che ha incuriosito tutti, perché porta dietro di sé quel brivido che sa sia di emozione per vedere sulla panchina come allenatore un giocatore che solo poco tempo fa solcava il campo dell’Emirates Stadium, ma anche di incertezza, di dubbi sulle effettive capacità che saprà mettere in mostra il basco. E che, tra l’altro, finisce per rendere ancora più imprevedibile una stagione fin qui difficilissima per l’Arsenal, che nonostante il cambio di panchina si ritrova ancora fermo a un deludente decimo posto in classifica, con una serie di prestazioni a tratti risultate drammatiche.

Arteta ha accettato sapendo quale sfida lo attenderà di fronte. Soprattutto, ha potuto osservarla da vicino, domenica scorsa, quando il suo ormai ex Manchester City si è divertito in quel di Londra umiliando in lungo e in largo un Arsenal sperduto, senza identità e con tanto disordine in testa e nel gioco. Il basco non ha fatto certamente la scelta più morbida, quella che gli avrebbe permesso di entrare in punta di piedi in questo mondo, magari partendo da qualche club “minore” e senza grosse pretese. Ma forse, è proprio questo “sì” dell’ex centrocampista che ci fa capire che il nuovo tecnico, di certo, non manca di coraggio o di personalità. Forse si rivelerà una scelta dissennata, ma questa sfida resta un salto nel vuoto che Arteta e l’Arsenal hanno deciso di fare con la reciproca fiducia di un grande amore, quando senti che alcuni rischi puoi prenderteli solo con chi sa condividere le stesse paure, ma anche la stessa voglia di avanzare assieme.

L’Arteta calciatore, d’altro canto, all’Arsenal era arrivato in un momento non meno delicato. Era la fine dell’estate 2011, quando i Gunners si ritrovarono a essere travolti con un clamoroso 8-2 all’Old Trafford dal Manchester United, in una gara che aveva mostrato delle gravissime carenze in termini di elementi presenti in rosa. Wenger decise così di fare forse l’accelerata più importante della sua carriera come allenatore dei londinesi riuscendo a chiudere in pochi giorni dalla fine del calciomercato ben 5 affari. Alcuni tutto sommato soddisfacenti (come quello di Mertesacker e Benayoun), altri rivelatesi disastrosi (André Santos e Park), ma tra cui emergeva il colpo di quell’Arietta cercato per così tanti anni dopo essere stato protagonista con la maglia dell’Everton.

In quell’Arsenal, il basco seppe portare tante qualità, sicuramente decisive per la stagione dell’Arsenal. Ottima tecnica, ma soprattutto una leadership fuori dal normale, che aveva reso il centrocampista un elemento imprescindibile dentro e fuori dal campo. Era adorato da tutti per quel carattere così carismatico e così non ha sorpreso la scelta di Wenger di assegnare a lui, nel 2014, la fascia da capitano. Il grande ostacolo a un finale di carriera glorioso sono rimasti gli infortuni, tanti e continui negli anni ai Gunners, al punto da diventare insormontabili nel momento in cui Arteta capì, nel 2016, che era arrivato il momento di dire basta.

Oggi, Arteta torna con il ricordo del suo giro di campo, alla sua ultima da calciatore, all’Emirates Stadium, con le lacrime agli occhi. Ed è forse anche questo ad aver spinto il basco a una scelta così difficile, ma pur sempre appassionata. Difficile dire quale sarà la sua filosofia di gioco e, soprattutto, cosa riprodurrà nell’Arsenal del gioco di Guardiola studiato così a fondo e spesso perfezionato negli ultimi 18 mesi. Resta il fatto che la scelta di Arteta è stata applaudita da tanti, da ex compagni come Ramsey, ma anche da allenatori che ne hanno riconosciuto da subito una qualità innata, come Wenger (che da calciatore gli affidava spesso la direzione dei compagni), Pochettino o lo stesso Guardiola.

L’ex centrocampista ha promesso un gioco propositivo, aggressivo, realizzato da una rosa in grado di tornare a giocare con passione e voglia di darsi da fare per la maglia. Ci aveva provato anche Ljubgerg, riuscito quantomeno a riportare qualche sorriso sui campi di allenamento dopo i mesi bui dell’ultima fase dell’era Emery. Ma allo svedese, fino a quel momento riuscito a dirigere le giovanili biancorosse e ad aiutare Emery nello staff, mancava forse quel pizzico di carisma e intelligenza tattica che la dirigenza dell’Arsenal sente di poter ritrovare in Arteta. Sente, appunto, perché di certezze in questa scelta non ce ne sono. È amore puro, quasi cieco, nella speranza di raggiungere un unico grande obiettivo, ognuno facendo la propria parte: far tornare grande l’Arsenal.