L’allenatore della Lazio scudettata nel 1974, Tommaso Maestrelli, lottò strenuamente contro la malattia, ritornando in panchina per un ultimo grande risultato.
CONDOTTIERO. Tommaso Maestrelli è tuttora, senza alcun dubbio, l’allenatore più amato nella storia della Lazio. La sua parabola traccia il profilo di una persona perbene, ancor prima che validissimo uomo di calcio. Il capitano dello scudetto ’74 Pino Wilson lo descrisse come depositario delle migliori doti accostabili ad un essere umano, a cui purtroppo il destino avrebbe chiesto il conto troppo presto. Nato a Pisa il 7 ottobre 1922, Maestrelli era stato un buon centrocampista in gioventù arrivando a vestire una volta la maglia azzurra nel 1948. Mosse i primi passi della carriera da allenatore in due piazze che lo avevano visto protagonista sul campo, Lucca e Bari. La prima affermazione di nota la ottiene sulla panchina della Reggina, guidata alla prima storica promozione in B nel 1965. Poi il Foggia trascinato in Serie A nel 1970. L’incontro del destino con la Lazio arriva nel campionato seguente, quando i pugliesi di Maestrelli rifilano ben 5 reti ai biancocelesti: il tecnico passa ai laziali nel torneo seguente.
FASTI. Facendo un po’ da padre, un po’ da pompiere in un gruppo spaccato letteralmente in due, il tecnico ha le sue belle gatte da pelare per tenere testa al bomber Giorgio Chinaglia e soci. In allenamento il gruppo è diviso in clan, che si menano di santa ragione in partitella: senza esclusione di colpi. Addirittura esistono due spogliatoi separati, guai a varcare quella soglia per i non graditi. Chinaglia e Wilson da una parte, Re Cecconi e Martini dall’altra quali principali referenti. Fortunatamente, quella banda scatenata la domenica diventava una squadra vera come per magia. Inutile negarlo, tutto grazie alla paziente regia di Maestrelli. Lo scudetto del 1974 fu un avvenimento storico, che trasferì il Mister pisano direttamente ad uno status leggendario per ogni tifoso laziale. Orgoglioso dei suoi ragazzi, dal primo all’ultimo. Con un occhio di riguardo per “Long John” Chinaglia, diventato nel tempo un figlio acquisito. Qualcosa iniziò però a scricchiolare in quella macchina complessa, il cui collante purtroppo cominciò a cedere. Tommaso Maestrelli negli ultimi tempi aveva fatto insospettire un po’ tutta la squadra: cercava sempre una fonte di calore, sentiva perennemente freddo. Quando il dottor Ziaco lo convinse a fare degli accertamenti, il responso fu da brividi… tumore al fegato. E, come si seppe più tardi, l’intervento chirurgico si rivelò inutile. I medici non intervennero, appena si resero conto della situazione già compromessa. A Tommaso rimanevano pochi mesi di vita.
ILLUSIONE E DRAMMA. La Lazio, senza il suo nocchiere, andò incontro ad un’annata terrificante. I ragazzi avevano perso concentrazione, con la testa sempre rivolta alle sorti del loro allenatore. Chi venne chiamato a sostituire Maestrelli in panchina non ebbe vita facile, d’altronde confrontarsi con la figura di Tommaso sarebbe stato complicato per chiunque… Poi la grande illusione: una cura sperimentale sembra dare buoni frutti e, piano piano, Maestrelli pare riprendersi. Recupera l’appetito e le forze, vuole rientrare in panchina e vince le ritrosie della moglie preoccupata. Il suo ritorno è da emozioni forti, accolto dalla gente per strada con affetto e condito da dichiarazioni toccanti, ricche di paura e riconoscenza da chi ha avuto il timore di morire. Maestrelli vive il dispiacere dell’addio di Chinaglia, quasi un tradimento al maestro nel bel mezzo del campionato. Il Mister però non cede. Affida a un diciannovenne di belle speranze, Bruno Giordano, la pesante maglia numero 9 di Chinaglia. Zoppicando parecchio, ma restando in piedi con grande volontà, quella Lazio conquista la salvezza all’ultimo tuffo: Maestrelli ce l’ha fatta. Le parole dopo quella intensa giornata sono faticose, Tommaso appare molto provato in ogni senso: il segno inequivocabile che la malattia è ritornata. Stavolta purtroppo non gli lascerà scampo e lo rapirà a questa terra il 2 dicembre 1976.
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