La vigilia non era stata delle più serene, giusto per abbondare con gli eufemismi. Il pareggio con il Lipsia, oltre al pass per gli ottavi di Champions League, aveva finito per aprire ufficialmente la crisi tra il Lione e la propria tifoseria. La festa per il 2-2, lo striscione anti-Marcelo, l’intervento del capitano Depay, il parapiglia e i comunicati che sono succeduti, avevano avuto come risultato quello di rendere infuocato un pomeriggio, quello della gara con il Rennes che, in teoria, sarebbe dovuto servire per salutare Bernard Lacombe, leggenda del calcio francese oltre che bandiera dell’OL, al passo d’addio al club di una vita dopo mezzo secolo di onorato servizio.
Invece, per il terzo anno consecutivo, il Rennes ha sbancato il Parc OL, senza bisogno di imprese ma grazie ad una condotta concreta, cinica e brillando della luce del gioiellino Eduardo Camavinga, classe 2002, a segno con il primo centro il Ligue 1 proprio quando lo 0-0 sembrava ormai scritto. La finta sul primo controllo, la freddezza occhi negli occhi con Lopes, il movimento da attaccante di chi solitamente gioca con le chiavi del centrocampo, l’happy ending in salsa bretone che ha reso ancora più nera la domenica di Rudi Garcia, uno che in meno di novanta minuti ha visto lesionarsi seriamente al legamento crociato due delle sue stelle, capitano compreso.
Jeff Reine-Adelaïde e Memphis Depay, out a stretto giro di posta, staranno mesi lontano dal campo, salteranno ça va sans dire la doppia sfida con la Juventus e soprattutto minano seriamente al lavoro che l’ex tecnico della Roma aveva fatto in questo primo periodo alla guida del Lione. La seconda sconfitta interna consecutiva (altro 0-1 dopo quello con il Lille) lascia l’OL nella mediocrità di metà classifica, ma paradossalmente non è la notizia peggiore del weekend: la vera sfida inizia ora, poco prima di Natale, con un morale sotto i tacchi, il leader ai box e un tifo schierato, in parte, contro la squadra. Altro che Luna Parc OL. Un non risultato che allontana ancora di più la zona Champions, la stessa che si fa realtà quasi concreta proprio per il Rennes, ad un passo dal podio occupato dal Lille (pesante il 2-1 interno sul Montpellier) con una gara da recuperare, in gennaio, contro il pericolante Nîmes, ergo: terzo posto, quasi virtuale.
Frena, in maniera inattesa, invece, il Marsiglia, costretto a rimontare lo svantaggio di Nguette a Metz, graziato dall’errore su discusso rigore di Diallo ma capace di tenere dritta la barra, nonostante il forfait di Mandanda nel primo tempo (decisivo Pelè dal dischetto) e in grado di strappare almeno un pareggio in Mosella grazie al solito Nemanja Radonjic, al quarto gol nelle ultime cinque di campionato: è lui l’uomo copertina di un OM che però vede allungarsi il divario nei confronti di chi sta davanti e sulla cui identità non è il caso di tenere troppa suspense.
Il Paris Saint-Germain, infatti, passeggia a Saint-Étienne, il 4-0 finale racconta dell’ennesimo esercizio di stile dei soliti noti, della recita dei quattro moschettieri, della doppietta di Mbappé e dell’ormai abituale squillo di Icardi, della prima griffe dell’ex romanista Paredes e di una situazione che, semmai non fosse gestita appieno da Tuchel (che nell’urna di Nyon ha trovato, guarda un po’, il BVB), in campionato non lascia nulla, né al caso né, soprattutto, agli altri. Campioni d’inverno (o d’autunno, come d’abitudine in Francia) con anticipo, a +7 sul Marsiglia con una partita da recuperare (al Louis II contro il Monaco), agli ottavi di Champions da prima in un girone che comprendeva il Real Madrid: la Vie en rose, à Paris, anche a metà dicembre.
L’altro lato della medaglia, sempre dal posticipo, arriva dai tifosi en… Vert, che hanno deciso di prendersi la scena durante la partita con un vero e proprio spettacolo pirotecnico attrezzato sulle tribune. Fuochi d’artificio, qualcosa che trascende i già noti razzi, bengala e compagnia e come extra-ordinari sono stati trattati nel day after, dalla commissione di vigilanza. Stade Geoffroy-Guichard, per tutti semplicemente “Chaudron”, chiuso fino a nuovo ordine. Perché c’è un limite a tutto, anche per il “calderone” di Francia.