Quando la figura dell’ala costituiva nel calcio un elemento fondamentale e distintivo, capace di infiammare le folle, l’Italia ha conosciuto un parmense magro e guizzante. Erano gli anni Sessanta: il suo nome era Bruno Mora.
PARMA. Bruno Mora nasce a Parma nel 1937. Magrolino, guizzante ma dotato di un tiro potente, viene notato dal settore giovanile della Sampdoria. Bastano una manciata di mesi al ragazzo per mettersi in mostra ed attirare l’attenzione della prima squadra. Così debutta in massima serie nel novembre 1957, in occasione del derby perso contro il Genoa (3-1).
La prima di tre annate in maglia doriana, che vedono questa ala destra garantire 17 reti in totale: la Nazionale non può che accorgersi di lui. Poco più di due anni dopo l’esordio in A, ecco la prima maglia azzurra nel pareggio con l’Ungheria. Bruno Mora finisce inevitabilmente sotto i riflettori.
LA VECCHIA SIGNORA. La Juventus lo porta a Torino, dove vive la consacrazione. Nella prima stagione segna ben 12 reti, in una squadra stellare che conta Charles, Sivori e Boniperti in attacco. Mora vince subito lo scudetto, continua ad imperversare sulla fascia tanto in bianconero quanto in azzurro. Ma non sfugge ai dirigenti juventini la sua passione verace per la vita notturna e le belle donne… Un viveur, Bruno Mora. Nel 1962 prende parte alla spedizione della Nazionale al Mondiale cileno, dove realizza una rete alla Svizzera e gioca la celebre “Battaglia di Santiago” con i padroni di casa. Dopo la Rimet, i bianconeri lo cedono al Milan ricevendone in cambio Salvadore e Noletti.
GLORIA E DRAMMA. A Milano conosce Nereo Rocco, il giovane Rivera e il bomber italo-brasiliano Altafini. Nella prima stagione Mora vince la Coppa dei Campioni a Wembley contro il Benfica di Eusébio, diventando un eroe immortale tra i tifosi rossoneri. Il parmense continua a garantire buone prestazioni e reti sulla fascia destra, grazie al dribbling ubriacante, quasi sfacciato. Il 7 dicembre 1965 scende in campo contro la Scozia a Napoli, per le eliminatorie mondiali 1966. Realizza un gol, è in un ottimo momento. Poi per lui arriva l’appuntamento con il destino. Nella successiva gara di campionato, nel Milan opposto al Bologna, Mora è lanciato verso la porta. L’estremo difensore avversario Spalazzi gli si fa incontro al limite dell’aria piccola: l’ala cerca di scartarlo, tentando di sfuggirgli lateralmente. La gamba sinistra di Mora resta intrappolata sotto il corpo di Spalazzi. Il dramma. Mora urla dal dolore, reggendo l’arto che riporta la frattura di tibia e perone. All’epoca, un infortunio capace di interrompere la carriera di un atleta.
ULTIMI ANNI E POST CARRIERA. Mora riesce a ritornare in campo nel campionato successivo, ma è l’ombra del campione che aveva infiammato le folle con le sue serpentine. Il grave incidente chiede il conto nonostante resti nel Milan ancora per qualche stagione da comprimario. Vince la Coppa delle Coppe 1968, l’anno dopo lascia i rossoneri. Ha 32 anni e si avvia a chiudere con il calcio ad alto livello, purtroppo per i postumi dell’infortunio. Si rifugia allora nella sua Parma, che allora milita tra i dilettanti. Dà il suo contributo alla promozione in C, spendendo gli ultimi spiccioli di una parabola ricca ma sfortunata. Si ritira dal calcio giocato nel 1971, restando tra le file ducali in altra veste. Alla guida del settore giovanile del Parma scoprirà talenti come Carlo Ancelotti e Nicola Berti, tra gli altri. Il destino gli si presenta nuovamente davanti poco dopo, sotto forma di un tumore allo stomaco. Bruno Mora scompare nella sua città a soli 49 anni il 10 dicembre 1986. Dicembre, sì: un mese nero per la vita di un brillante uomo di sport, la cui parabola è stata spenta troppo presto.
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