L’ex attaccante della Juventus e della Nazionale, scomparso il 26 novembre all’età di 79 anni, ha avuto una storia sportiva ed umana “diversa”. E per questo, meritevole di essere raccontata.
PRECOCE. Bruno Nicolè nasce a Padova il 24 febbraio 1940 da papà Carlo, edicolante, e mamma Teresa che manda avanti una latteria vicino a casa. La guerra in corso costringe i genitori ad affidare i figli ai nonni, a Bastia di Rovolon. Ma i coniugi Nicolè resistono strenuamente con le rispettive attività in quegli anni difficilissimi. Il piccolo Bruno scopre lo sport dalla radio, dalla narrazione delle imprese del ciclista Gino Bartali e del Grande Torino. A 14 anni entra nel Padova, dopo essere stato notato quale attaccante veloce dal fisico importante e dalle buone qualità. Un bel giorno viene convocato in prima squadra dal “Paròn” Nereo Rocco. Bruno ha 16 anni e viene preso sotto l’ala protettrice dell’allenatore che, quella domenica per la gara all’Appiani contro l’Inter, gli dice negli spogliatoi: “Scaldati, giochi tu. Se te lo avessi detto ieri non avresti dormito e ora saresti uno straccio. Vai in campo e fai quello che senti di fare“. Il ragazzino ci sa fare, viene subito portato sotto la luce dei riflettori… un aspetto bello ma pericoloso, che si rivelerà un’arma a doppio taglio.
TORINO. Corrono in fretta delle voci su un interessamento della Juventus. Nel frattempo Nicolè si mette in mostra con i biancoscudati, segnando 2 reti nelle 12 partite del campionato 1956-57. Alla Juventus ci va davvero… per 70 milioni più il prestito dello svedese Kurt Hamrin. Succede tutto così in fretta per il ragazzo padovano, che viene travolto da un’ascesa rapidissima. Tutto questo nonostante in bianconero debba adattarsi a giocare all’ala destra per la presenza dei mostri sacri Charles e Boniperti. Nicolè cattura l’occhio ugualmente, tanto che Viani lo convoca in Nazionale nel novembre 1958. In programma c’è Francia-Italia, amichevole con i transalpini freschi semifinalisti del Mondiale svedese. Nicolè debutta a 18 anni e 258 giorni, mettendo a segno una doppietta nel 2-2 finale: un primato di precocità che resiste ancora oggi. Viene esaltato dai tanti tifosi italiani accorsi allo stadio, il suo exploit ne rafforza la popolarità.
DECLINO. Nicolè disputa 4 campionati nella Juventus, conquistando 3 scudetti e 2 Coppe Italia, acquisendo ulteriore esperienza internazionale con la ancora giovane Coppa dei Campioni e la squadra azzurra. Ma Bruno non è un atleta come gli altri. Dichiarerà nel 2004: “Da calciatore pensavo molto. Bastava un calcio su un ginocchio per far finire il sogno in qualsiasi momento. Guardavo Boniperti, che reputava vincere la cosa più importante. Ma non si può sempre vincere. Vado alla Roma e poi al Mantova, nella speranza di ritrovarmi. Ma in realtà mi si era rotto qualcosa dentro. Non cambiarono le cose neppure alla Sampdoria. Quando arrivai all’Alessandria mi vergognai, perché mi offrivano lo stesso stipendio percepito alla Juventus più bonus. A 27 anni decisi di smettere, in realtà lo avrei voluto fare anche prima“. Nicolè chiude nel 1967, con 8 presenze azzurre – e i 2 unici gol dell’esordio – e un ottimo palmares. “Forse era andato tutto troppo in fretta, forse non ero pronto a una carriera da professionista“. Un campione di cristallo, non dal punto di vista fisico ma interiore.
POST CALCIO. Il calciatore, una volta appese le scarpe al chiodo, si iscrive all’Isef e diventa insegnante, una professione che lo appagherà molto e con cui scoprirà davvero la parte pura dello sport: attraverso il coinvolgimento dei ragazzi. Andato in pensione nel 2001, diventa pure giornalista pubblicista assecondando la passione per la scrittura. Il calcio lo aveva nauseato da tanto tempo ormai, non guardava più le partite e seguiva esclusivamente le vicende delle squadre giovanili allenate dal figlio Fabio. Bruno Nicolè si è spento a Pordenone martedì, all’età di 79 anni. Oltre che più giovane marcatore azzurro di sempre, è ancora pure il capitano più precoce: nel 1961, contro l’Irlanda del Nord, indossò la fascia a 21 anni e 61 giorni.
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