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Il tempo si era fermato, ma il Tottenham e Pochettino non hanno saputo accettarlo

Poteva essere una storia d’amore da raccontare, è finita con un divorzio dopo un’agonia che ha fatto soffrire tutti. Il percorso di Mauricio Pochettino al Tottenham si è fermato così, in pieno autunno e a pochi giorni dalla ripresa dei campionati dopo la sosta delle Nazionali. Un freddo comunicato di esonero, i ringraziamenti fatti nella maniera più sentita possibile per trovare un equilibrio tra la necessaria rigidità dell’annuncio di un addio e i ricordi di 5 anni che hanno trasformato la storia di una squadra tornata in alto come poche volte le era accaduto nella storia. E poi via, ognuno per le proprie strade, uno a cercare una propria nuova casa e l’altro a trovare una guida con cui ricominciare tutto da capo.

L’avventura di Pochettino al Tottenham non doveva finire così, tra umiliazioni subite come il 7-2 casalingo contro il Bayern Monaco in Champions League e un avvio di campionato a rallentatore (14esimo posto con 14 punti, -11 dalla zona Champions League e soltanto +6 dalla zona retrocessione). Si sarebbe dovuta concludere, piuttosto, lì dove le lancette dell’orologio si erano fermate: con un’amara sconfitta, vero, ma in una storica finale di Champions League, il punto più alto in Europa della storia degli Spurs. Il tecnico spagnolo è stata la guida perfetta di un progetto che, nell’arco di pochi anni, ha puntato forze, soldi e passione per trasformare i nord londinesi in una potenza del calcio mondiale, con un proprio stadio, nuovo di zecca, tra i più spettacolari esistenti.

Pochettino ha compiuto l’impresa di creare un gruppo solido, chiaro, in un giusto mix di giovani talenti fatti esplodere e i giusti rinforzi necessari per fare il salto di qualità. Questo gruppo, escluse le prime sessioni di mercato, lo ha cambiato pochissimo negli anni, perché era proprio nella continuità che aveva saputo trovare la sua forza. Per questo non ci può sorprendere che il Tottenham sia riuscito a raggiungere una finale di Champions League proprio nell’anno in cui la società ha chiuso i rubinetti del mercato dopo il pesante investimento per lo stadio, costringendo gli Spurs a passare l’estate 2018 senza veder nemmeno un nuovo arrivo. Nel calcio moderno, è un esempio unico di come si possa far crescere una squadra lavorandoci a fondo, nel gioco e nella mente, senza bisogno di chiedere alla proprietà colpi folli per riempire le prime pagine dei giornali.

Pochettino ha compiuto un’impresa, diventando probabilmente uno dei 5 allenatori più forti al mondo nell’arco di qualche anno. Aveva fatto bene dovunque prima degli Spurs, sia all’Espanyol sia al Southampton, ma è a Londra che ha compiuto il suo capolavoro più grande. Ha preso in mano una squadra che stava crescendo, fino a diventare una vera minaccia per le “big” d’Inghilterra, e l’ha trasformata in una presenza costante nei piani alti della classifica.

Non è mai riuscito a vincere un trofeo, forse il più grande rammarico che lascerà dietro di sé in questa esperienza, è vero. Nell’anno del clamoroso successo del Leicester City era stata probabilmente l’unica squadra che aveva potuto ostacolare quel sogno, finendo poi però per cedere verso il finale e perdendo così una grande occasione per vincere in Premier League. E poi, appunto, c’è il rammarico di quella finale persa a Madrid contro il Liverpool lo scorso giugno nell’appuntamento più importante della storia dei londinesi.

Pochettino, però, è riuscito dove tanti suoi predecessori avevano fallito: rendere in maniera definitiva il Tottenham una “big” d’Inghilterra. Ha trasformato gli Spurs in una presenza costante in Champions League, offrendo un mix straordinario di solidità difensiva (da sempre fiore all’occhiello del gioco dello spagnolo) e buon calcio. Ha fatto nascere, vedendole crescere davanti ai propri occhi, due stelle del calcio mondiale come Dele Alli, ma soprattutto Harry Kane, oggi forse assieme a Lewandowski l’attaccante più forte al mondo. A Londra, Pochettino aveva fatto tutto bene. Tranne la scelta di quando farla finita.

Perchè, appunto, la sensazione che tutti hanno avuto al termine della sconfitta contro il Liverpool nella finale di Champions League è che il progetto Tottenham era arrivato al capolinea. Hanno sfiorato il cielo, senza toccarlo, ma è stato comunque il punto più alto mai raggiunto. La squadra andava rifondata, con investimenti anche pesanti. E, probabilmente, Pochettino andava lasciato libero, nel momento di maggior prestigio della propria carriera. Si sarebbe accasato in una squadra ancora più grande prima (Juventus?) o poi (Bayern Monaco? Barcellona? Real Madrid?).

Si è deciso di continuare, facendo un mercato che non è stato né carne né pesce: qualche arrivo pesante come Ndombele e Lo Celso, ma non abbastanza per pensare di ridare nuova verve a un gruppo ormai saturo. Sono rimasti giocatori come Eriksen che tutto avrebbero voluto, tranne che fare un’altra stagione con gli Spurs, e chi aveva toccato il proprio massimo l’anno prima era ormai in fase di discesa. Andava capito prima, ma si è mandata avanti un’agonia contro cui nulla si è più potuto fare quando il palazzo ha cominciato a venire giù. E con esso anche quel Pochettino che, a prescindere da tutto, resterà il grande protagonista di una delle epoche più importanti della storia del Tottenham.