Origini siciliane, Vincenzo Scifo esplose giovanissimo con la maglia della Nazionale belga: un grande talento da cui ci si sarebbe attesi una carriera diversa.
RADICI. La storia di Vincenzo Scifo comincia nella regione belga della Vallonia, precisamente a La Louviére, il 19 febbraio 1966. Figlio di Agostino e Alfonsa, originari di Aragona (Agrigento) e partiti in Belgio per cercare un futuro migliore nei primi anni Cinquanta, Vincenzino si innamora del giocattolo prestissimo: “Mia madre ha sempre raccontato che fin dall’età di due anni ho sempre avuto un pallone con me“. Entra nell’Anderlecht, la più prestigiosa società del suo Paese e si fa subito notare. Centrocampista elegante, dotato di ottima tecnica individuale e personalità, che non disdegna la battuta a rete con il destro. Quando ha 16 anni e mezzo, riceve una telefonata a scuola – dove il ragazzo studia ragioneria – da papà Agostino: l’Anderlecht lo ha convocato per una tournée in Italia. L’inizio del viaggio.
LA VITA CAMBIA. Vincenzino ci sa fare, tanto che non sfigura con i “grandi”. Il tecnico dei malva è il leggendario Paul Van Himst e punta con decisione su di lui. All’alba della stagione 1983-84 si ritrova titolare nel club belga più importante, e non delude le attese. 25 partite e 5 reti nel campionato d’esordio, ma non solo. L’exploit è talmente grande da attirare la nazionale maggiore: però Scifo ha il passaporto italiano, deve fare una scelta. E così, l’8 giugno 1984 entra nel tribunale civile di Mons e sceglie la cittadinanza belga. Giusto in tempo per prendere parte all’Europeo in Francia con il Belgio. La nota testata transalpina L’Equipe, alla vigilia di Francia-Belgio, titola “Attenti al ragazzo”. All’Euro il diciottenne Scifo diventa la rivelazione, con quella maglia rossa a rombi addosso. Sembra l’avvio di una carriera folgorante.
ALTI E BASSI. Nonostante le indubbie qualità, che gli permettono di diventare un apprezzato protagonista anche al Mondiale ’86 nel Belgio semifinalista, Scifo sembra non riuscire a fare il salto definitivo di qualità. Nel 1987 lo acquista l’Inter per 5 miliardi di lire, in un’operazione di mercato dalle forti tinte familiari: un ritorno alle origini. L’esperienza non si rivelerà alla fine dei conti fantastica e memorabile. Tanto che la sua parabola sembra pagarne il conto, quando viene ceduto in prestito ai francesi del Bordeaux. Una parentesi poco meno che drammatica, calcisticamente parlando, per il giovane campione: “Ho incontrato persone che mi hanno disgustato e mi hanno fatto disgustare il calcio. Un giorno sono tornato a casa dall’allenamento e ho detto a mia moglie che non avevo più voglia di continuare così. Per fortuna diverse persone hanno creduto di nuovo in me. Nell’Auxerre mi sono rigenerato, merito mio e della fiducia ricevuta“.
RITORNO. Rilanciatosi, rientra in Italia acquistato dal Torino nel 1991. Due buone annate (16 gol complessivi) e tante belle prestazioni portano il calcio francese a puntare ancora su di lui, stavolta con i colori del Monaco addosso. Quattro stagioni nel Principato, prima del ritorno alle origini: nel 1997 riveste la casacca dell’Anderlecht, in tempo per disputare il quarto Mondiale della carriera (nel frattempo aveva giocato anche le edizioni 1990 e 1994). Poi chiude nello Charleroi dopo aver scoperto di soffrire di artrite cronica. 84 presenze e 18 reti nel Belgio, gloria ma pure tanti rimpianti per una carriera che avrebbe potuto essere diversa seppur soddisfacente. “Il successo è arrivato forse troppo presto per me, le aspettative sono state sempre crescenti. Anche certi momenti difficili hanno inciso. Un difetto? La fragilità mentale giovanile che può assalire tutti i ragazzi“. Firmato, Vincenzo Scifo. Ovvero, un fuoriclasse (purtroppo) a metà.
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