Come tante volte è accaduto nel calcio italiano e all’estero, ciascun periodo può essere segnato maggiormente da una sola squadra: proprio come il ciclo della Grande Inter negli anni Sessanta. Anni di trionfi, chiusi bruscamente nel giro di pochi giorni tra il maggio e il giugno del 1967.
GRUPPO. L’Inter ha vissuto il suo più grande momento di splendore durante la presidenza dell’industriale petrolifero Angelo Moratti, iniziata nel maggio 1955 dopo l’era Masseroni. Qualche stagione di assestamento, poi l’ingaggio nel 1960 dell’allenatore franco-argentino Helenio Herrera. Reduce da una lunga esperienza nel calcio spagnolo – quattro campionati vinti, equamente distribuiti tra Atlético Madrid e Barcellona – a livello di club, all’epoca dell’arrivo a Milano mantenne il doppio incarico operando pure come ct della Spagna. Herrera, tecnico con il pallino della condizione atletica e della preparazione psicologica, si ritrovò tra le mani un talentuoso gruppo di giocatori italiani che riuscì a plasmare per ottenerne il massimo. Il costante portiere Giuliano Sarti, scudettato con la Fiorentina nel 1956; il roccioso terzino friulano Tarcisio Burgnich; Giacinto Facchetti, splendido atleta e baluardo della corsia mancina; il lungo Aristide Guarneri e l’elegante Armando Picchi nel cuore della retroguardia; il formidabile Sandro Mazzola, figlio del grande Valentino, nato come punta prima di arretrare a centrocampo; il geniale Mario Corso, tutto sinistro e fantasia; il jolly Saul Malatrasi; il gregario Gianfranco Bedin in mediana. E poi due stranieri con i fiocchi: l’ala brasiliana Jair da Costa e, per gradire, il Pallone d’Oro 1960 Luisito Suárez. Lo spagnolo divenne in breve tempo l’autentico cervello offensivo della squadra, a supportare gli altri attaccanti di quegli anni come Domenghini, Di Giacomo, Milani. Completavano la rose in quel periodo Buffon, Zaglio, Tagnin, Miniussi, Landini, Facco, Soldo, Bicicli, Bolchi, Dellagiovanna, Bugatti, Masiero, Bettini, Morbello, Dehò, Cappellini, Ciccolo, Gori, Cordova, Canella, Petroni, gli stranieri Hitchens, Maschio, Szymaniak, Vinicio e Peirò.
EGEMONIA. Moratti affidò la costruzione della squadra al validissimo dirigente Italo Allodi, che portò a Herrera gli innesti decisivi per il salto di qualità. Un momento delicato, visto che proprio nella primavera del 1962 il presidente era arrivato a un passo da lasciare a causa dei risultati poco esaltanti. Fu invece la svolta. La difesa “di ferro” Burgnich-Facchetti-Guarneri-Picchi prese forma, Buffon allora ancora tra i pali. Un ottimo girone d’andata coincise con la rincorsa nei confronti della Juventus, che si laureò campione d’inverno. Fu lo scontro diretto del 28 aprile 1963, vinto dai nerazzurri con gol di Mazzola, a rivelarsi decisivo: l’Inter ritornò al titolo dopo nove anni. Un impianto di gioco pressoché perfetto, capace di portare nella bacheca interista altri due scudetti (1965 e 1966), due Coppe dei Campioni e altrettante Intercontinentali (sempre nel 1964 e 1965). Quella squadra è passata ufficialmente alla storia come la famosa “Inter euromondiale“.
CAMMINO. Durante il campionato 1966-67, l’Inter mise a segno una serie iniziale scoppiettante con 7 vittorie di fila e la miseria di un gol incassato. Una schiacciasassi. Ma verso la conclusione del 1966, i nerazzurri iniziarono a perdere qualche colpo, alimentando così il ritorno da parte della Juventus dell’altro Herrera, Heriberto. Al giro di boa, i milanesi si laurearono campioni d’inverno con un punticino di vantaggio sui rivali. Nelle prime giornate del girone di ritorno la Juventus rimase intrappolata sul pari per tre volte consecutive, una manna per le ambizioni nerazzurre. Quando alla trentesima giornata la Juventus perse a San Siro contro il Milan, l’altra parte di Milano probabilmente si illuse di avere lo scudetto in pugno. Andò molto diversamente…
LA FINE. Prima dell’ultimo turno di campionato, l’Inter si presentò a +1 sui bianconeri. Gli uomini di Helenio Herrera, probabilmente stanchi per il contemporaneo cammino in Coppa dei Campioni, avevano un pochino rallentato nelle ultime settimane. Proprio prima della decisiva partita di Serie A, l’Inter si recò a Lisbona per disputare la finalissima europea contro gli scozzesi del Celtic. Era il 25 maggio 1967. Il vantaggio dopo appena 7 minuti, realizzato da Mazzola su rigore, sembrò mettere in discesa la gara. Nella ripresa le reti di Chalmers e Gemmell ribaltarono il risultato, regalando ai biancoverdi di Glasgow la loro unica “coppa dalle grandi orecchie”. Una mazzata per i nerazzurri, non certo la miglior spinta per affrontare lo sprint tricolore. Ed ecco arrivare il 1° giugno. Ricapitoliamo la classifica: Inter 48, Juventus 47. I nerazzurri si recano in casa del Mantova, già salvo. La Juve invece va a fare visita alla Lazio inguaiata nella lotta salvezza. Accade ciò che nessuno si aspetta. Al Martelli il portiere interista Giuliano Sarti, brillante protagonista dell’annata, incappa in una papera clamorosa su tiro-cross dell’ex compagno di squadra Di Giacomo: 1-0.
Contemporaneamente a Roma la Juventus batte 2-1 la Lazio, condannandola alla retrocessione in B, grazie ai gol di Bercellino e Zigoni (ininfluente il rigore del debuttante laziale Di Pucchio). La Juventus conquista quindi il suo 13° scudetto, nel modo più rocambolesco e inatteso. Lo stesso Gianfranco Zigoni dichiarerà nel 2008: “Lo scudetto del ’67, quello conquistato all’ultima giornata, è merito di Heriberto Herrera. Noi calciatori avevamo già mollato, lui no. L’Inter tecnicamente era superiore, la Juve una squadra operaia. Però abbiamo vinto e ce lo siamo anche meritato“. L’Inter finì di sprofondare il 6 giugno, perdendo l’accesso alla finale di Coppa Italia per mano del Padova militante in B.
Le due settimane che uccisero la Grande Inter, arrivata al capolinea del ciclo più entusiasmante della sua storia. Per la stagione seguente andarono via tre protagonisti storici come Guarneri, Jair e Picchi – quest’ultimo dopo un confronto con Moratti, per scegliere uno tra lui ed Herrera – con un incolore 5° posto finale: lo stesso presidente lasciò a quel punto la proprietà a Fraizzoli. La fine di un’epoca.
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