Otto giornate di campionato, tre vittime discretamente illustri: in sequenza sono stati silurati in Serie A Di Francesco, Giampaolo e Andreazzoli. Tre tecnici preparati e con un’idea di calcio molto propositiva e orientata all’estetica oltre che al risultato. Di Francesco alla Roma, Giampaolo alla Sampdoria e Andreazzoli all’Empoli hanno conquistato buona parte della critica non tanto per i risultati ottenuti, quanto per il gioco espresso dalle loro squadre. L’anno scorso Di Francesco è stato esonerato dalla Roma a campionato in corso quando è uscito dall’Europa League ed era quinto in classifica; Giampaolo ha raggiunto in tre anni un undicesimo, un decimo e un nono posto con i blucerchiati; Andreazzoli, infine, è retrocesso alla guida dell’Empoli.
Spesso sentiamo dire che in Italia non c’è pazienza e che per plasmare una squadra ci vuole molto tempo: i tre sopracitati sono stati giudicati dopo pochi turni di campionato, è vero, ma hanno potuto lavorare con il gruppo per almeno tre mesi. Questo non significa che le loro squadre avrebbero dovuto forzatamente fare il doppio dei punti che in realtà hanno totalizzato ma, quantomeno, iniziare a carburare dal punto di vista del gioco. Si può sostenere che siano stati i risultati a inchiodare i tre allenatori (3 punti in 7 gare per Di Francesco, 9 in 7 gare per Giampaolo e 5 in 8 gare per Andreazzoli) ma la realtà è che le loro squadre hanno deluso principalmente per la sterilità del loro gioco.
Questi allenatori non sono riusciti a coinvolgere il gruppo come avrebbero voluto, non sono riusciti a trasmettere la propria idea di calcio, forse in qualche caso non godevano neanche della fiducia dei giocatori. La Sampdoria è riuscita a guadagnare un punto contro un cliente difficile come la Roma alla prima di Ranieri e il Milan è incappato in un pareggio con il Lecce ma ha fornito una prestazione di livello nettamente superiore alle precedenti sette uscite; è risaputo che una squadra vive una sorta di elettroshocK alla prima partita sotto la guida di un nuovo allenatore ma può anche darsi che Ranieri e Pioli abbiano saputo toccare le corde giuste fin da subito, quelle corde che i loro predecessori, evidentemente, non sono riusciti nemmeno a sfiorare.
La prima di Thiago Motta ci dirà se anche la squadra rossoblù avrà reagito bene all’avvicendamento in panchina, mentre il prosieguo del campionato sancirà se queste “prime” sono stati solo dei fuochi di paglia. Allegri molti anni fa fu confermato da Cellino sulla panchina del Cagliari nonstante 5 sconfitte nelle prime 5 giornate: in quel caso la fiducia fu ripagata e i sardi si risollevarono in classifica con grande impeto. Probabilmente però quella squadra aveva dato dei segnali di vita evidenti che hanno convinto il presidente a dare ulteriore fiducia all’allenatore. Le panchine saltate sino a questo momento in Serie A non sono solo frutto dei risultati, nient’affatto: Milan, Genoa e Sampdoria puntavano sul bel gioco e quello proprio non si è visto. Meglio cambiare strada quando non è ancora troppo tardi, dunque, sacrificando l’idea del calcio-champagne con idee alternative, forse meno entusiasmanti ma talvolta più razionali. Meglio dunque puntare sull’esperienza (Ranieri), sulla concretezza (Pioli) e sull’entusiasmo del nuovo che avanza (Thiago Motta). Sarà poi il campo a fornire il giudizio finale. Il campo, non i risultati.