Sfruttiamo il titolo di un film del 2004 con Jennifer Aniston e Ben Stiller per introdurre l’argomento del giorno, il presunto accordo tra la dirigenza rossonera e Stefano Pioli. Si tratta di un film come tanti, una commedia mediocre il cui target è una platea senza troppe pretese. Mediocrità, questa è la parola che sintetizza l’universo rossonero negli ultimi anni: l’ingaggio di un allenatore sin qui dimostratosi mediocre cozza pesantemente con quelle che sono le aspettative di un pubblico esigente, sicuramente fin troppo ben abituato ma illuso a più riprese.
Se, come sembra, Pioli diventerà il nuovo allenatore del Milan, almeno le illusioni verrebbero riposte in soffitta, chiuse in una cassaforte blindata. Il termometro del tifo rossonero sui social, nelle radio, in tv, nei bar e nei gruppi WhatsApp di tutta Italia regristra un’uniformità di vedute con pochi precedenti: questa scelta non solo scontenta il 99,9% dei tifosi ma ha anche il potere di gettare nello sconforto tutto l’ambiente.
Sull’esonero di Giampaolo non c’è molto da discutere: in tre mesi di lavoro il tecnico abruzzese ha raccolto risultati pessimi, dando al contempo la sensazione di essere in confusione totale. “Il tempo sarà il mio miglior alleato o il mio più grande nemico” aveva detto l’ex mister della Sampdoria, prendendoci a metà: il peggior nemico di Giampaolo, oltre al tempo, è stato Giampaolo stesso, reo di non aver avuto la forza di imporre il suo credo calcistico. Il suo celebre 4-3-1-2, motivo per il quale era stato accolto con ottimi auspici, è stato abbandonato dopo tre partite ufficiali per tornare al vecchio, stantio e poco fruttifero 4-3-3. Se doveva “morire”, avrebbe fatto più bella figura a “morire” con le sue idee, senza arretrare di un centimetro, come aveva più volte professato.
Ciò che colpisce è che, nonostante questo mezzo disastro, si stia facendo comunque largo il partito del “piuttosto che Pioli era meglio tenersi Giampaolo”. Questo la dice lunga su quanto stia lasciando sgomenti il nome di Pioli per la panchina rossonera. I motivi sono semplici e molteplici, a partire dal physique du rôle: in un ambiente abbacchiato, nel quale se ne sta andando un allenatore che si è dimostrato piuttosto molle, sarebbe servita una figura carismatica in grado di dare una scossa immediata, non un altro elemento pacato e poco affascinante; oltre a questo, a destare perplessità è il curriculum di Pioli, che ha lavorato anche in piazze importanti come Lazio, Fiorentina e Inter ma senza mai lasciare il segno; si tratta poi di un tecnico che arriva con l’etichetta di “piano B“, dal momento che Spalletti era il “piano A” di Boban e Maldini; Pioli non è certo famoso per proporre un calcio spettacolare e divertente e in una società come il Milan questo pesa molto; infine, questa situazione ricorda molto il suo approdo all’Inter, nel novembre 2016, quando prese il posto di un de Boer sbeffeggiato oltremodo da stampa e ambiente, com’è successo al malcapitato Giamburrasca (ribattezzato così dalla Gazzetta dello Sport): questa situazione evidenzia una realtà amara, il Milan è tre anni indietro rispetto all’Inter. Almeno. E per una tifoseria già costretta a patire la distanza siderale con il mondo Juventus, trovarsi così lontani anche dai cugini è dura da digerire.
Il contratto di un anno con opzione per il secondo definisce, infine, ciò che sarà Pioli per il Milan di quest’anno: un traghettatore. Il suo compito sarà quello di portare la nave in salvo a maggio, in modo che a giugno si possa dare il via all’ennesimo ribaltone totale tra campo, panchina, dirigenza e magari anche proprietà. Scegliere un traghettatore quando si esonera un allenatore a campionato in corso significa porsi obiettivi minimi e di breve termine, demandando alla prossima stagione l’idea di iniziare un percorso di crescita. Farlo a inizio ottobre, quando la stagione non dovrebbe essere ancora compromessa, è sintomatico di quello che sarà il percorso del Milan in questo campionato. Al Milan, tra l’altro, di tempo ne è stato già buttato via troppo e i tifosi, sin troppo devoti in questi anni come dimostrano i numeri sulle presenze a San Siro, subiscono questa scelta come un potentissimo pugno in faccia, un colpo da KO emotivo.
…e alla fine arriva Pioli, che se letto con l’intonazione giusta rende perfettamente l’idea dello stato d’animo del tifoso milanista.