La squadra giallorossa, alla prima partecipazione nella competizione, rischiò di compromettere l’approdo in finale nel proprio stadio. Storia di un bollente pomeriggio romano del 1984
TRIONFO. La Roma di Liedholm centrò nel 1983 il secondo scudetto della sua storia, dopo ben 41 anni dalla prima volta. Un ottimo gruppo che toccò l’apice del suo periodo magico con quel tricolore sancito dall’1-1 contro il Genoa. Una squadra tosta e ben assortita, farcita da protagonisti diversi ma complementari. Il grande condottiero era il capitano Agostino Di Bartolomei, personalità tanto talentuosa quanto cupa, che metteva in riga l’esuberante Sebino Nela, il funambolico Bruno Conti, il cannoniere baffuto Roberto Pruzzo. Gli stranieri, allora solo due concessi per squadra, erano due brasiliani fantastici come il “divino” Paulo Roberto Falcão e il dinoccolato Toninho Cerezo, quest’ultimo giunto a sostituire l’austriaco Prohaska dopo il trionfo. Il granitico Vierchowod ritornò alla Sampdoria dopo la stagione in prestito. Per affrontare la campagna di Coppa dei Campioni 1983-84, il presidente Dino Viola richiamò lo stopper Dario Bonetti (Sampdoria) e ingaggiò il campione del mondo Ciccio Graziani (Fiorentina), oltre a Malgioglio, Oddi, Strukelj (in comproprietà) e Vincenzi. Liedholm si ritrovò nuovamente orfano di Ancelotti, gravemente infortunatosi a novembre e fuori per il resto della stagione. Alla società capitolina cadde letteralmente tra le mani una chance unica da non sprecare: la Uefa stabilì che la finalissima, in programma il 30 maggio 1984, sarebbe stata disputata proprio allo stadio Olimpico… un’occasione troppo ghiotta da agguantare a tutti i costi. Purtroppo, in seguito sarebbe venuta in superficie una verità scomoda.
SENZA INTOPPI. Il 14 settembre 1983 ecco il debutto nella più prestigiosa manifestazione europea, in casa contro gli svedesi dell’IFK Göteborg: Vincenzi, Conti e Cerezo, tutti a segno nella ripresa, firmarono il 3-0 all’andata. Due settimane dopo, la sconfitta all’Ullevi fu indolore, nonostante il gol di Gardner al primo minuto. Pruzzo impattò al 60°, poco cambiò la rete di Holmgren. A ottobre ebbe luogo il secondo turno contro il CSKA Sofia. Falcão confezionò il successo corsaro per 0-1, replicato a Roma da Graziani. Il percorso europeo proseguiva spedito. Stavolta i giallorossi pescarono nell’urna i tedeschi orientali della Dynamo Berlino: andata all’Olimpico con un secco 3-0 (Graziani, Pruzzo e Cerezo), 1-2 fuori senza conseguenze, con il successo dei berlinesi in rimonta dopo il vantaggio di Oddi. Roma in semifinale, il sogno era ancora perfettamente integro.
DOCCIA SCOZZESE. Oltre ai giallorossi, erano rimasti in corsa Dinamo Bucarest, Dundee United e Liverpool. La Roma beccò i campioni di Scozia, un sorteggio sulla carta positivo soprattutto per aver evitato lo squadrone inglese. Però nella gara d’andata pesanti nubi si addensarono sulle speranze europee degli italiani. Una Roma irriconoscibile si fece infilare due volte nel secondo tempo, prima da Dodds e poi da Stark, ritornando nella Capitale con la coda tra le gambe. L’approdo alla finalissima aveva subito un durissimo colpo, ma… i giallorossi giocarono d’astuzia nel retour-match, ottenendo di disputare la partita di pomeriggio per opporre la calura romana inusuale per gli ospiti. In più, la squadra di Liedholm non sarebbe stata spinta alla rimonta “solo” dal desiderio di disputare la finale di Coppa dei Campioni nel proprio stadio: il Dundee, per bocca del suo allenatore Jim McLean, aveva arroventato la vigilia con alcune dichiarazioni offensive che fecero inviperire i giocatori giallorossi. Cosa successe in campo quel 25 aprile 1984, giorno della Liberazione? Il bomber Roberto Pruzzo spedì alle spalle di McAlpine un colpo di testa al 23°, incendiando l’Olimpico. Poi, un quarto d’ora più tardi insaccò di destro con maestria il pallone del 2-0. A quel punto, lo svantaggio dell’andata era stato annullato e le squadre andarono al riposo. L’impresa era a portata di mano, tuttavia non era ancora finita… mancava il punto della sicurezza. Fu ancora Pruzzo a metterci lo zampino, facendosi atterrare dal portiere nel tentativo di dribbling sulla sua uscita. “O rei di Crocefieschi”, così come era soprannominato Pruzzo, si mise lo scrupolo in quel momento: andare sul dischetto oppure no? “Mi dissi: Roberto, hai già fatto due gol, non strafare. E in quel momento, davanti a me comparve il capitano”. Agostino Di Bartolomei, con grande senso di responsabilità e freddezza, poggiò la sfera e, quasi senza rincorsa, infilò di destro il pallone del 3-0. La rimonta era compiuta!
IL POST GARA. Nell’immaginario collettivo, quella partita resta impressa anche per ciò che accadde al triplice fischio del francese Vautrot. Diversi giocatori della Roma non si dedicarono a un’esultanza meritata e sacrosanta, dopo un’impresa sportiva del genere che si portava dietro un sacco di significati. Cosa fecero? Si disinteressarono di tutto il resto, scagliandosi contro l’allenatore del Dundee McLean: i giallorossi non avevano certo mandato giù i suoi insulti a mezzo stampa dopo la gara d’andata. Gliene dissero di tutti i colori, mischiando inglese e italiano. Una fotografia famosissima di quei momenti incandescenti ritrae Sebastiano Nela intento a mostrare il dito medio a McLean, con un’espressione in viso di puro godimento, trattenuto a stento dal pacifico capitan Di Bartolomei. Partecipano all’ “esecuzione” anche Righetti, Oddi e Cerezo. Fantastica la compostezza del tecnico scozzese, tutto impettito nella improponibile felpa Adidas in un giorno così caldo e nel suo voler far finta di nulla, tirando dritto. Nelle interviste post partita dirà: “Ci siamo suicidati tatticamente”. Il gesto di Nela lo fa eleggere istantaneamente a leggenda dai tifosi giallorossi, per una pagina poco educata ma pervasa da pura adrenalina.
Come poi tutti sappiamo, la finalissima del 30 maggio 1984 contro il Liverpool non avrebbe visto il lieto fine. Ma questa è un’altra storia. Così come lo è il tentativo di corruzione messo in atto dalla Roma nei confronti del direttore di gara Vautrot: un pranzo consumato in un ristorante romano, la telefonata ricevuta e quel “regalo” da 100 milioni di lire… una verità risalita a galla anni dopo, con le rivelazioni di Riccardo Viola – figlio dell’allora presidente Dino – e che ha velato profondamente quel romantico pomeriggio romano. L’incasso registrato in occasione di Roma-Dundee, superiore al miliardo e 300 milioni di lire, rappresentò il nuovo record italiano per un incontro di calcio.
IL TABELLINO.
Roma-Dundee United 3-0
Roma: Tancredi, Nappi, Righetti, Nela, Falcão, Maldera, Conti, Cerezo (87° Oddi), Pruzzo (79° Chierico), Di Bartolomei, Graziani (In panchina: Malgioglio, Giannini, Vincenzi). Allenatore: Nils Liedholm.
Dundee United: MaAlpine, Stark (46′ Holt), Malpas, Gough, Hegarty, Narey, Bannon, Milne, Kirkwood, Sturrock (80′ Clark), Dodds (In panchina: Gardiner, Reilly, McGinnis). Allenatore: Jim McLean.
Arbitro: Vautrot (Francia).
Reti: 23° e 38° Pruzzo, 58° Di Bartolomei rigore.
Note: ammoniti Malpas e Maldera; spettatori 68.060; incasso 1.307.854.000 lire.
Già pubblicati: Un incantesimo dorato di nome Malines (12.09.2019)