Dopo aver detto addio allo storico sponsor tecnico della Diadora, l’AIA ha ufficialmente dato il via all’era Legea, con gli arbitri delle principali categorie nazionali che hanno già potuto testare sulla propria pelle le divise messe a disposizione dal nuovo fornitore. E, come accade in ogni occasione di un cambiamento delle maglie, il mondo arbitrale si è diviso tra chi si è mostrato particolarmente soddisfatto e chi, invece, rimpiange le precedenti divise della Diadora. Fin qui, insomma, nulla di diverso da quello che accade sistematicamente ogni due, tre stagioni.
L’addio a Diadora, però, è stato uno strappo netto, un colpo di spugna totale che non ha lasciato più tracce o aloni in superficie. E così, qualche settimana fa, gli arbitri italiani, dalla Serie A ai Giovanissimi, hanno ricevuto sulla propria mail la stessa comunicazione: con il cambio di sponsor non sarà più possibile indossare prodotti Diadora in campo, ma solo quelli della Legea. Una richiesta del tutto legittima da parte dell’azienda campana, che punta ovviamente a difendere i propri interessi e gli investimenti fatti, tanto importanti per consacrare il brand.
Una scelta che non ha cambiato in maniera particolare la vita degli arbitri delle categorie superiori, come di consueto ben forniti di tutte le divise, nei quattro colori previsti, per essere pronti a ogni evenienza. Ma che ne sarà degli arbitri di tutte le categorie minori, dalle regioni fino alle sezioni provinciali, costretti a mettere in un cassetto tutti i prodotti Diadora per vedersi consegnare gratuitamente la consueta, singola divisa (in particolare, di colore giallo) da farsi bastare per tutta la stagione?
Semplice: dovranno recarsi nei negozi per comprare altri prodotti dello stesso marchio, riniziando tutto da capo nel rifarsi l’armadio; oppure, in alternativa, rimanere con una singola divisa, a maniche lunghe, per i prossimi nove mesi, a costo di dover indossare (l’odiosissima) pettorina per distinguersi quando i colori delle due squadre non saranno compatibili. O di ritrovarsi a dover continuamente riutilizzare una singola divisa anche quando si è chiamati ad arbitrare più gare in pochi giorni (chi ha arbitrato, sa che soprattutto d’estate sono tante le amichevoli e i tornei giovanili, ben di più a volte rispetto al numero di arbitri a disposizione). In attesa di ricevere un nuovo completo all’inizio della prossima stagione.
Insomma, una sola divisa per una stagione intera è quasi impensabile da gestire per un ragazzo abituato ad arbitrare numericamente anche di più dei direttori di gara di Serie A e Serie B. E così, toccherà aprire il portafoglio per prendersi almeno un’alternativa. Ma è una costrizione ingiusta, soprattutto perché colpisce il vero pezzo grosso dell’AIA, che non è composto dagli arbitri che vediamo in televisione, ma dai più o meno giovani che sono impegnati nei campetti vicini alle nostre case.
Una situazione, insomma, che si poteva e doveva gestire meglio, anche a livello di FIGC e AIA. Si poteva rendere meno netto il passaggio, soprattutto per chi è lontano dalle televisioni, da uno sponsor all’altro oppure trovare soluzioni alternative, che mettessero gli arbitri in una condizione più o meno simile a quella precedente (fornire subito due divise quest’anno e nessuna il prossimo, per esempio). Di arbitri indignati di questa situazione ce ne sono già tanti, perché sentono una diversità di trattamento profondamente ingiusta. Al punto da rendere sempre più profondo quell’abisso già esistente tra le categorie dei “big” e la massa delle categorie inferiori: quelle che, in fin dei conti, tengono davvero in piedi il nostro sistema calcistico.