Home » Caro Eddy, questa volta Gimondi ti ha battuto

Immagine tratta dalla Pagina Ufficiale Facebook della Bianchi

Affermare che il ciclismo italiano sia in lutto è assolutamente vero. Ma è altrettanto assolutamente riduttivo. Perché a essere in lutto non è solo il ciclismo, ma è tutto lo sport italiano. Anzi, l’intera nazione italiana. Ed è giusto e doveroso che sia così per Felice Gimondi, scomparso ieri per un malore a 76 anni mentre si trovava in vacanza a Giardini Naxos, in Sicilia.

Sì, perché come il successo in rimonta di Gino Bartali al Tour de France 1948 fu fondamentale a “distrarre” l’opinione pubblica dall’attentato al segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti che portò l’Italia alle porte della guerra civile, le imprese di Felice Gimondi furono una ventata di freschezza e di colore negli anni Sessanta e Settanta, dove l’unico colore imperante nel BelPaese era il grigio piombo del terrorismo.

Dal punto di vista sportivo, poco da dire se non la seguente asserzione: dopo Coppi e Bartali, nella scala dei più grandi corridori italiani di tutti i tempi, ci sta Gimondi. Primo italiano – lo ha raggiunto in questo speciale “club” Vincenzo Nibali – ad aggiudicarsi almeno una volta tutti i tre Grandi Giri. Una sequela iniziata con il Tour de France 1965, vinto a sorpresa a 23 anni da neoprofessionista con la maglia della Salvarani, davanti all’idolo di casa Raymond Poulidor. Poi i tre Giri d’Italia nel 1967, nel 1969 e nel 1976, quest’ultimo conquistato alla non più tenera età (ciclisticamente parlando) di 34 anni con altri 6 podi all’attivo e la Vuelta a España nel 1968.

E ancora le vittorie nelle classiche Monumento come la Parigi-Roubaix nel 1966, i Giri di Lombardia nel 1966 e nel 1973, la Milano-Sanremo 1974, vinta in solitaria con la maglia iridata di Campione del Mondo griffata Bianchi (l’altra squadra alla quale si legò in carriera) grazie a un attacco sul Capo Berta. Maglia iridata conquistata l’anno precedente a Barcellona, sul circuito del Montjuic. E ancora Parigi-Bruxelles (2 volte), Coppa Placci, Coppa Agostoni, Coppa Bernocchi, 2 Giri dell’Appennino e 2 titoli di Campione Italiano. In totale, 118 corse vinte da professionista.

Un bilancio lusinghiero che avrebbe potuto essere ancora più ricco se nella carriera di Gimondi non ci fosse stato un imprevisto. Un imprevisto che porta il nome e cognome di Eddy Merckx. Gimondi se l’è dovuta vedere per tutta la carriera contro il corridore più forte di tutti i tempi, non a caso soprannominato “Cannibale”. Il bergamasco – Gimondi era nato a Sedrina, a pochi chilometri da Bergamo – si è dovuto in tante occasioni arrendersi allo strapotere del belga (sebbene qualche volta sia accaduto il contrario, come per esempio nel già citato Mondiale di Barcellona) ma lo ha fatto sempre sudando le proverbiali sette camicie prima di mollare le ruote del rivale.

Un rivale che però metro dopo metro è diventato amico. Un’amicizia, quella tra Gimondi e Merckx, che si è ben cementata e consolidata una volta che entrambi hanno smesso di pedalare agonisticamente. Un po’ come accadde tra Jacques Anquetil e Raymond Poulidor. Nei Tour dei primi anni Sessanta, il primo (5 volte vincitore della Grande Boucle) riusciva sempre a precedere il secondo. E quando Anquetil, morente su un letto d’ospedale per un tumore, mandò a chiamare Poulidor, gli disse: “Vedi, Raymond, anche questa volta arriverai secondo”.

Merckx ha parafrasato Anquetil dichiarando all’ANSA, appena saputo della scomparsa di Gimondi: “Caro Felice, questa volta sei arrivato primo”. Già, Eddy, questa volta sei stato battuto. Felice Gimondi ha vinto l’ultimo duello della scalata verso il Cielo.