Tra club che scompaiono e rinunce al salto di categoria il girone “Est” della terza serie russa è diventato quasi un torneo inutile, nel quale la stagione dura soltanto venti giornate. E la situazione a Khabarovsk e a Vladivostok non è affatto migliore.
Tutti gli appassionati di calcio, anche quelli che non seguono assiduamente quello russo, almeno una volta nella vita hanno fatto una piccola ricerca sulle società, affiliate alla UEFA, del lontano Oriente. “Vuoi mettere se si qualificano in Europa League? Magari contro una squadra portoghese!” Il Luch Vladivostok non ci è andato tanto lontano, raggiungendo un prestigioso settimo posto in campionato nel 2006 e otto anni la semifinale nella seconda competizione nazionale. Fino ad ora le coppe europee si sono spinte al massimo fino a Novosibirsk, maggiore centro abitativo della Siberia e leggermente più a est rispetto a Nur Sultan e a Almaty: in quell’occasione, nel 2010, il Sibir giunse in finale in coppa di Russia, riuscendo poi a superare un turno contro i ciprioti dell’Apollon e a ben figurare contro gli olandesi del PSV, nonostante la goleada subita nella gara di ritorno.
Fare calcio in questa zona del globo non è così facile, soprattutto quando si supera questo alone fiabesco ed esotico che come un piccolo velo copre a stento la situazione reale. Le due squadre principali hanno sede in città altrettanto importanti e possono contare su sponsor abbastanza solidi. A Vladivostok il Luch, dopo diversi anni nella massima serie, da oltre un decennio ristagna nella mediocrità, salvandosi in maniera tutt’altro che tranquilla (un anno ha dovuto ricorrere addirittura al ripescaggio, in virtù del fatto che il neopromosso Chita non aveva i requisiti necessari per il salto). Discorso leggermente diverso per lo SKA Khabarovsk, che dopo la comparsata in Russian Premier League del 2017 ha fallito l’assalto alle zone alte della classifica nella scorsa stagione. D’altronde entrambi i club hanno questioni logistiche impossibili da risolvere in maniera definitiva, come ad esempio i costi delle trasferte e i loro effetti sulle prestazioni, ma anche la campagna acquisti ne risente, perché non è così scontato convincere i giocatori ad intraprendere questa esperienza, nemmeno proponendo contratti più che discreti. Tutto ciò costringe queste due squadre ad ottenere molto dalle partite casalinghe, che rappresentano sì un punto di forza ma allo stesso tempo possono incidere in maniera deleteria sulla classifica: si gioca con maggiore pressione e l’obbligo di vincere condiziona più di quanto si possa credere. Con il passare degli anni, ovviamente, questi collettivi hanno avuto modo di gestire opportunamente le proprie risorse e calendarizzare al meglio la programmazione, è altrettanto vero che alcune difficoltà potranno soltanto essere smussate, mai risolte al cento per cento.
Proviamo a trasportare questo quadro generale a un livello sì professionistico, ma ancora più basso. La PFL, la seconda serie russa, consta di cinque gironi compilati su base geografica. Quello denominato “Vostok” racchiude soltanto sei squadre che si affrontano quattro volte, per un totale di venti giornate. Non che godano di grandissima salute i corrispettivi omologhi della categoria, ma tutti possiedono almeno il doppio delle squadre, con tante realtà locali decisamente rilevanti (nel Sud i nomi di blasone si sprecano, vedi Vladikavkaz, Krasnodar, Nalchik, Rostov e Makhachkala). In Oriente, invece, il calcio sta vivendo un lento e inesorabile declino, alla stregua di un paziente in coma irreversibile. Sono tanti i club che scompaiono e, soprattutto, manca la competitività: dal 2015, quando a vincere è stato il Bajkal Irkutsk, nessuna prima classificata l’anno successivo ha giocato in FNL. Il Sakhalin, che ormai ha base a Tomsk, in Siberia (a 3.759 km! Per la gioia dei tifosi locali), ha vinto nel 2018 e lo scorso anno ha di fatto lasciato passare l’Irtysh all’ultimo turno, perchè ancor prima del termine della stagione sapeva già che non avrebbe effettuato il salto per questioni economiche, probabilmente consci delle difficoltà affrontate nell’unica stagione spesa in tale serie un lustro fa (tra cui la trasferta più lunga di sempre in un campionato nazionale, in quel di Kaliningrad). Non che a Omsk l’abbiano pensata diversamente.
La geografia attuale del gironcino orientale è abbastanza triste. Lo Smena Komsomol’sk na Amure, che vantava una media spettatori vicina alle seimila unità, e qualche stagione fa diede filo da torcere allo Spartak di Carrera nei sedicesimi di coppa di Russia ha chiuso i battenti dopo aver rifiutato la richiesta di giocare in Siberia le proprie partite casalinghe, mentre quest’anno al posto del Sibir 2 c’è la versione “uno”, reduce dall’incredibile retrocessione che ha completato nel peggiore dei modi un progetto a lungo termine con vista massima serie. A completare il torneo ci sono poi le siberiane Dinamo Barnaul e Zenit Irkutsk, che testimoniano il fallimento del tentativo di riforma che voleva due sottogironi a Est, uno appunto siberiano (almeno otto squadre) e uno orientale (minimo sei). A fatica se n’è fatto uno, nel quale è difficile individuare un club realmente dell’estremo Oriente. Trovare una soluzione non è così immediata, ma l’impressione è che a nessuno importi più di tanto. In verità uno dei punti di forza del calcio russo è dato proprio dalle sue mille sfaccettature, culturali, geografiche e sociali. Un’eventuale scomparsa definitiva del calcio in queste lande andrebbe decisamente oltre il dispiacere del curioso appassionato occasionale, sarebbe come perdere un arto per l’intero movimento. Forse anche qualcosa di più.