Attenti al Lupo! La rimonta Avellino non vuole fermarsi
Vivere, morire, risorgere. Il destino dell’Avelino e’ un continuo Matrix: pillola blu ti risvegli in C senza sapere perche’; con la rossa ripercorri tutto il varco che della serie A porta a una rimonta pazzesca in D con Lanusei – comune sardo di 5304 anime – per tornare tra i professionisti.
Il viaggio brucia come l’inferno ma come Neo il protagonista del film scegliamo la pillola rossa perche’ da tutta la vita avvertiamo che qualcosa non torna ad Avellino, e vogliamo vederci chiaro. La leggenda della squadra che giocava come il Brasile secondo il vate Gianni Brera, ha radici antiche come la sua terra, generosa e aspra, dominata per secoli da pastori che adorano l’animale piu’ temuto: il lupo (guardacaso) non accarezzato da una vita facile per sopravvivere. L’Avellino e’ cosi’ e ha il carattere indomito di un popolo che sopra le difficolta’ ha fondato le sue certezze, piu’ che sufficienti per battere le squadre da battere (il Milan campione d’Italia al debutto nel 1978 e poi Juve, Roma, Inter, Napoli, il Verona scudettato – l’unico stop esterno al miracolo di Bagnoli lo impose la Legge del Partenio). Ben dieci anni consecutivi in serie A nel formato SuperLega a 16 squadre con tre retrocessioni, davanti a 30 mila spettatori di media: mica pizza e friarielli questi pastorelli.
Nemmeno il sisma nel 1980 che ha spostato case e tolto vite, ha cambiato di un millimetro la tenacia a lottare.
Il varco e’ agli inizi e gia’ iniziamo a capire perche’ il calcio ad Avellino e’ passato, presente e futuro: e’ davvero tutto.
E come l’estate scorsa 2018 e’ stata un nuovo terremoto, tifosi impotenti questa volta contro gli errori della Natura umana di certi quaquaraqua’: un incubo precipitato tra aule di tribunale con la salvezza in B appena conquistata in tasca ma una fidejussione inviata fuori tempo massimo per continuare.
E cosi’ dopo un saliscendi epilettico di 30 anni tra purgatorio, inferno e porte del paradiso, i biancoverdi sono ripartiti con una nuova societa’ dalla serie D, nel girone laziale.
Il Lupo mortificato e ferito a luglio 2018 si trova tra montagne altissime di distanza dalla finale per la serie A, sfiorata nel 2015 dalla banda Rastelli con la traversa di Castaldo al 94’ che ancora traballa al Dall’Ara dalla doppia sfida sul Bologna di Tacopina – da sudori freddi.
Tra tanto scetticismo la prende sulle spalle un uomo mite. E’ gia’ stato sponsor della squadra e non ha esperienza diretta come Preziosi la cui proposta viene reincartata dal sindaco tra le polemiche: Gianandrea De Cesare, patron della Sidigas non ama i riflettori e sa lavorare. Partito piano piano a fornire gas ai comuni della provincia irpina, si e’ fatto strada tra i player energetici del Sud Italia e oltremare. Carneade del calcio ma leader con la Scandone Basket nel massimo campionato maschile, ha schiuso le porte in Champions (l’Europa League del calcio): al ruzzolone calcistico fonda una polisportiva per dovere morale, promettendo ai Lupi la serie B in tre anni.
Ma c’e’ una squadra tutta da rifare e i concorrenti sono alle prime amichevoli di rodaggio. Si mormora il rientro di un uomo esperto (Pierpaolo Marino) ma la dirigenza stupisce tutti e sceglie un direttore sportivo di appena 28 anni, Carlo Musa. Sembra uno sbarbatello neolaureato che legge libri e prende consigli e scappellotti dall’allenatore che ha scelto, Archimede Graziani. Il casting giocatori si apre tra molti dubbi e sopracciglia alzate, qualcuno la prende male, perche’ il ragazzino apre le porte e il veterano le richiude in faccia. Alla fine giocatori di categoria arrivano (Ciotola, l’eterno Sforzini, De Vena, Matute) ma alle prime sconfitte la fronda “Il basket e’ un’altra cosa” parte ad ingrossare le fila del malcontento. La squadra non ingrana, la vetta del girone lontana, lassu’ scappano Lanusei e Trastevere. Apriti cielo quando la Sidigas dopo due mesi entra in difficolta’ finanziarie ed e’ costretta a scrollarsi l’ingaggio del bicampione Nba Norris Cole, pezzo forte del mercato e della corsa scudetto, uno che a Miami dava del tu a Lebron James.
Ma le scosse ad Avellino aiutano a migliorare. Soprattutto con la trasparenza di patron De Cesare, irpino d’adozione, di ammettere le difficolta’ senza tante scorciatoie come facevano i suoi predecessori. Via Graziani che non ha legato con la piazza, torna mister Giovanni Bucaro, figlio tattico di Zeman, con l’assistenza di un altro biancoverde storico, Daniele Cinelli. Il lupo fatica ancora ma annusa l’aria di casa e riprende a salire, un passo dopo l’altro. Si puntella l’asse portante della squadra, porta ( Viscovo), centrocampo ( Di Stanislao, Da Dalt), attacco ( Alfageme, proprio lui) con qualche rischio burocratico sul tesseramento. A 10 giornate dal termine ci sono ancora 10 punti da recuperare. La missione resta impossibile e nessuno ci crede, ma i lupi non si fermano piu’ sulle ali di Tribuzzi ( segnatevi questo nome ne sentiremo parlare) e i gol di De Vena. Una vittoria dopo l’altra, prima il Trastevere, poi il Lanusei diventano raggiungibili. I sardi iniziano a smarrire il controllo e rimediano tre volte in zona Cesarini all’ultima curva, 83 punti a testa. E’ spareggio, e a Rieti l’Avellino torna in C, poi non si ferma piu’ e raggiunge la poule scudetto, 15 vittorie di fila (compreso il Bari) lo issano Campione d’Italia Dilettanti. La gente di Avellino puo’ tornare a sognare a testa alta con patron De Cesare che passa oltre a qualche diffuso peccato di impazienza. Del resto per le cose belle ci vuole tempo, proprio come il pregiatissmo Fiano DOCG le cui viti crescono abbarbicate solo da queste parti. Difficile da coltivare, non e’ una novita’. Un gusto che arricchisce col passare dei giorni, bisogna solo aspettare l’anno successivo per assestarsi e trovare l’equilibrio. Ancora una volta.