Cittadella tra sogno e realtà: i sette segreti per la “A”
Mentre la favola Chievo scende, un altro villaggio di Asterix è pronto a salire nel massimo campionato. Cittadella, per tutti il “Citta” si prepara ai cento chilometri verso Verona dove domenica 2 giugno andrà in scena la finalissima. Diciannove anni dopo la conquista della B, sarà ancora il Bentegodi a issare i granata nell’Olimpo del calcio, al cospetto della Juve e di Cristiano Ronaldo?
Per bookmakers e gufi veneti non resta che aspettare, il clamore della notte scorsa vissuta al Tombolato, la doppietta del leone italiano Davide Diaw (papà senegalese, mamma friulana) sono la pozione magica dei 20.000 abitanti a metà strada tra Padova, Bassano del Grappa, Treviso e Vicenza: quei che hanno dalla C alla A nel proprio nome, quei che tutti gli anni partono per salvarsi dall’inferno e poi li ritrovi stabilmente alle porte del paradiso.
In tanti hanno tentato di svelare la formula di un’alchimia di successo che nemmeno la coca-cola.
Tre anni fa ero cronista del Cittadella e ho capito da dove nasce quel gioco limpido, irresistibile e sbarazzino: il segreto sta in 7 ingredienti assolutamente unici + 1 da svelare. Leggete e saprete quali.
LA FABBRICA DEL CALCIO. Tutto parte dalla siderurgia locale del dopoguerra e la visione eccezionale di un uomo, l’imprenditore Angelo Gabrielli, papà dell’attuale presidente Andrea. Al di là dei numeri colossali (fatturato da 800 milioni di euro), il dna d’impresa che trasforma grezzo e rottami in leghe nobili di ferro e acciaio per tutto il mondo, diventa presto il marchio della squadra fondata di lì a poco nel 1973. È con la stessa mentalità operaia che dal vivaio granata si forgiano uomini, non primedonne, prima ancora che calciatori.
Non è un caso chi passa di qua, continua ad avere mercato, a tenere alti i giri: Cordaz, Alfonso, Paleari, Barreca, Meggiorini, Sgrigna, Magallanes, Gabbiadini, Baselli, Ardemagni, Zaccagni, lo stesso avversario veronese Di Carmine, Jallow, Kouamé: tante le scommesse vinte, fino a Panico, Moncini e l’ultimo eroe, Diaw. Una societa unica che trasforma scarti a vita nuova, come capitan Iori, o consente a un portiere ( Pierobon) di smettere a 46 anni stabilendo il record di longevità italiana tra i professionisti.
APPARTENENZA. Vi basta fare un giro 150 metri in linea d’aria dai capannoni, nella cittadella sportiva dietro lo stadio Tombolato per incontrare la seconda scuola di vita per tante generazioni dei paesi limitrofi. I migliori alleati di mamma e papà, molti dei quali impiegati nella holding sponsor di Cittadella, sono gli allenatori della cantera tra le più qualificate d’Italia. Ecco il secondo ingrediente, un senso di appartenenza fortissimo, quello per cui anche i calciatori della prima squadra sono dotati del badge della mensa aziendale. Tutto rigorosamente made in Gabrielli.
DIGNITA’ COLLETTIVA. Terzo ingrediente, l’abitudine a fare le cose perbene collettivamente o tanto vale lasciare perdere. Lavare subito l’onta della retrocessione in C nella stagione 2015-16 e’ stata la molla di un intero popolo laborioso che si vergognava di non aver fatto abbastanza, mentre altre squadre più blasonate si accontentavano di fallire senza ritegno nelle mani sbagliate. A Cittadella possono cambiare livrea, giocatori e cilindri ma il motore deve cantare sempre come favola, appassionare con un gioco sempre propositivo, votato all’attacco ma leale. Dal 3-3-4 dell’ “olandese” Glerean ai record di gol di Piovaccari, andate a vedere la classifica perpetua della Coppa Disciplina: troverete spesso il nome Cittadella.
ALLENATORI STABILI. Coerenza e magia anche per l’allenatore Venturato. Roberto l’australiano schivo inizia come vice di un certo Emiliano Mondonico esperto in promozioni tranne la finale playoff del 2008 perduta proprio contro i granata del druido Foscarinix. E quando il vate Claudio dopo 10 anni di panchine consecutive retrocede e abdica, il testimone pesantissimo va a quel tenace carneade tornato a lottare per il quartiere di Pergoletto di Crema. Una promozione in serie B stravinta al primo anno, tre playoff consecutivi in crescendo (2017 i quarti con il Carpi di Kevin Lasagna, 2018 la semifinale con Frosinone e 2019 in finale contro Verona) non possono essere frutto di un caso o della sorte. Fedele ma non incatenato al suo 4-3-1-2, Roberto Venturato sa valorizzare piuttosto bene il materiale a disposizione esattamente come l’azienda glielo apparecchia stagione dopo stagione.
SOCIETA’ SANA. Ricerca, Filiera corta, Investimenti sostenibili, Risultati, Conti in regola, Crescita. Dietro alla società modello attenta non fare il passo piu’ lungo della gamba, in un’estate italiana dove plusvalenze e raggiri hanno rifatto sprofondare la credibilita’ del sistema calcio, Cittadella rappresenta un inno alla chiarezza e al merito sportivo. Una mentalità diversa dal tutto subito, dai mangiallenatori, dal totoscommesse, dalle plusvalenze gonfiate, dalle piccole grandi scorciatoie che riempiono le cronache e le aule dei tribunali.
RIFERIMENTI CHIARI E SEMPLICI. Un presidente presente, un direttore sportivo sul campo, un allenatore che allena. Stop. La piramide organizzativa del Cittadella è un ingrediente semplice senza sorprese e additivi nascosti o procuratori ingombranti o teste di legno.
DS CAPACE. La figura chiave non poteva che essere un manager schietto, rustico e tenace tale Stefano Marchetti, innamorato granata, l’anello di congiunzione tra proprietà e spogliatoio, tra cessioni e ricavi. Il direttore sportivo prima di tutto rappresenta il credo della piazza dove lavora e finora in questi anni ha rifiutato altrettanto schiettamente società piu’ blasonate di Cittadella in serie A che lo attendono a braccia aperte. Credibile anche perché incapace di arrendersi e lisciare i malumori della piazza con frasi di circostanza, dopo i fischi ingenerosi di certa parte di tifoseria che a volte gli chiede la Luna senza capire quanto costa restare sulla Terra. Pare comunque che le critiche siano un propulsore naturale a Cittadella per rimboccarsi le maniche e ribaltare l’impossibile. Come a Benevento.
+1 Ed è ora che la Luna è a una scaletta di distanza, forse proprio la gialloblu dell’Hellas Verona, verrà svelato quell’insodabile ingrediente misterioso di fine missione: accogliere la serie A andando oltre i limiti e ai detrattori del cinico paracadute, di coloro che si domandano se stavolta il Cittadella farà sul serio, perché non ci sono abbastanza tifosi, bisogna rifare la squadra, bisogna rivedere la capienza dello stadio ecc.
Cittadella, tra sogno e realtà. Una cosa per volta, direbbe Angelo Gabrielli: c’é ancora una partita da giocare e vincere. Poi l’equilibrio sopra la follia potrà continuare.