Immaginate di entrare in un’enorme biblioteca interamente dedicata al gioco del calcio. Piani e pile infinite di libri: tattica, regole, storia, tifo, statistiche, record, momenti memorabili. C’è di tutto e ogni argomento è catalogato secondo logici criteri, per non perdersi nella consultazione. Come in qualsiasi biblioteca che si rispetti, d’altronde. Ogni settore ha il suo “tema” e fra le diverse stanze, a un certo punto, potete scorgerne una che reca un’insegna sontuosa: “Anfield”. Quella è la sezione dedicata alle rimonte impossibili, alle imprese che confondono realtà ed epicità. E che ti ricordano, se ce ne fosse bisogno, quant’è bello questo gioco.
Da oggi potete richiedere di consultare l’ultimo volume della stanza delle rimonte, lo troverete proprio ad “Anfield” e lo riconoscerete facilmente perché è quello meno impolverato. Quanto è accaduto ieri sera Oltremanica, calcisticamente parlando, è qualcosa di sensazionale, che merita di essere fissato nelle pagine di un libro e di essere raccontato ai posteri. Contro ogni pronostico, dopo un 3-0 subito all’andata giocando alla pari (se non meglio) rispetto agli avversari e senza due giocatori fondamentali come Salah e Firmino, il Liverpool ha ribaltato il punteggio, si è esaltato, ha mandato in visibilio i propri tifosi e noi che guardavamo la partita in TV, ha fatto sembrare il Barça piccolo piccolo e ha strappato con forza un posto nella finale di Madrid. La sua seconda finale di Champions consecutiva.
Da sempre i fatti sportivi vengono raccontati con toni epici, e il calcio non è da meno. La sfida tra Liverpool e Barcellona per certi versi ricorda il celebre assedio di Troia, descritto nell’Iliade, dove il ruolo della città assediata è ben rappresentato dalla squadra catalana, che nemmeno dopo l’1-0 di Origi dopo sette minuti sembrava poter capitolare, anche perché Messi e Coutinho erano riusciti a farsi vedere in area avversaria e a mettere in difficoltà Alisson. Bastava un solo gol, d’altronde, per spegnere definitivamente i bollenti spiriti degli assalitori. Eppure, il comandante dell’esercito acheo, Klopp, proprio come Agamennone, sapeva che bisognava perseverare. La strategia messa in atto era perfetta: squadra non snaturata (fuori Salah e Firmino, dentro Shaqiri e Origi), esterni difensivi che stazionavano più nella metà campo avversaria che nella propria, i guerrieri a lottare corpo a corpo in mezzo al campo (Milner, Fabinho e soprattutto Henderson, che sembrava dover uscire per una botta nel primo tempo, ma è rimasto a combattere) e i baluardi della difesa (Matip e van Dijk due muri, Alisson insuperabile) a respingere gli attacchi di un Barça che avrebbe potuto ferire irrimediabilmente da un momento all’altro.
E così, piano piano, si è materializzata l’impresa. L’ingresso in campo di Wijnaldum ha garantito ai Reds una maggiore dinamicità e incisività in attacco. I due gol dell’olandese in meno di tre minuti hanno esaltato il popolo inglese, gettando nello sconforto i Troiani, sia quelli in campo che quelli che stavano sugli spalti. I ragazzi di Klopp correvano di più, si vedeva che erano assetati di sangue, mancava soltanto il colpo di genio per chiudere una contesa il cui epilogo pareva ormai scontato. E il colpo di genio è arrivato a poco più di dieci minuti dalla fine: Alexander-Arnold, 21 anni da compiere, ma con una furbizia degna del miglior Ulisse, finge di lasciare un calcio d’angolo al compagno, poi torna improvvisamente sui suoi passi, calcia dalla bandierina e trova Origi per la stoccata del 4-0. Barcellona beffato e colto di sorpresa, proprio come fece Ulisse col Cavallo di Troia.
Da lì in poi, solo Liverpool. I catalani avrebbero potuto ancora trovare il gol risolutore, ma erano stati colpiti al cuore, sapevano di essere destinati a soccombere. Messi, il Paride che aveva provocato la guerra con la doppietta del Camp Nou, non ha avuto la forza di trascinare un gruppo che per due anni consecutivi è stato costretto a subire una rimonta crudele. L’anno scorso fu la Roma, ai quarti, a ribaltare il 4-1 in Catalogna con un 3-0 all’Olimpico, quest’anno il Liverpool è riuscito a fare ancora più male alla tifoseria catalana, strappandole una finale che in molti davano per scontata. Non vorremmo essere nei panni di Ernesto Ettore Valverde, che avrà vinto anche la Liga, ma che ha fallito il bersaglio più importante per una piazza esigente come quella blaugrana.
Il resto è già storia, o forse dovremmo dire leggenda. Le lacrime di un duro come Milner, il sorriso incredulo di Salah, l’omaggio della Kop agli eroi di Anfield, le sciarpe al cielo e le note da pelle d’oca di You’ll never walk alone. Infiniti fotogrammi di una serata epica che ti fa andare a dormire con l’adrenalina a mille, di una serata che ci porteremo dentro a lungo. Il messaggio principale di questa partita pazzesca è riassunto dalla scritta della maglietta indossata da Salah dopo il fischio finale del signor Çakır: never give up. Non mollare mai, un insegnamento che parte dallo sport e si applica alla vita. E quelli del Liverpool, a quanto pare, ne sanno qualcosa.