Van der Poel, il campione che non si diverte
Tuo nonno si chiama Raymond Poulidor, uno che nel suo palmarès ha una Vuelta, una Milano-Sanremo, una Freccia Vallone, sette podi al Tour de France con sette tappe. Tuo padre si chiama Adrie Van der Poel, un atleta che nel suo curriculum vitae può annotare, tra le tante cose, un Giro delle Fiandre, una Parigi-Tours, una Liegi-Bastogne-Liegi e un Mondiale nel ciclocross.
Appare quindi quasi logico e naturale, per non sconfessare James Watson e Francis Crick, gli scopritori del DNA, che Mathieu Van der Poel, olandesone di 24 anni, vada forte in bicicletta. Solo che a differenza del nonno e del padre, il capitano della Corendon-Circus preferisce nettamente sentire sotto le sue ruote l’irregolarità del terreno fuoristrada. Qui, come ha più volte confessato, si diverte. Ovviamente aggiungendo al sollazzo, le vittorie con 4 podi e 2 titoli mondiali, oltre che due titoli europei, nel ciclocross. E come corredo un bronzo ai Mondiali 2018 di Mountain Bike.
Poi dall’estate scorsa, non per divertirsi ma perché evidentemente gli hanno detto che è capace, Van der Poel (che pure vanta un titolo Mondiale Juniores a Firenze 2013 sull’asfalto) ha iniziato a cimentarsi su strada. Risultati? Un titolo olandese lo scorso anno, un argento agli Europei di Glasgow sempre lo scorso anno dietro al nostro Matteo Trentin. E in questa prima parte di stagione 2019, già sei vittorie. Tra le quali due semiclassiche importanti come la Dwars door Vlaanderen e la Freccia del Brabante e, soprattutto, ieri l’Amstel Gold Race, la corsa che è la massima espressione tra quelle olandesi.
Un successo salutato come un trionfo, dato che interrompe un digiuno arancione durato ben 18 anni (l’ultimo a imporsi Erik Dekker nel 2001) e che è avvenuto in modalità “fenomeno”. Il primo attacco a 43 km dall’arrivo, poi la fucilata ai -4,5 km, quando sembrava che Alaphilippe e Fuglsang – mica bau bau micio micio come direbbe qualcuno – fossero oramai irraggiungibili. Van der Poel che si porta dietro quindici corridori, recupera il distacco di una quarantina di secondi (a netto di qualche scia amica delle moto), agguanta i due a 200 metri dall’arrivo e li fa secchi allo sprint. Semplice a dirsi, meno a farsi sulla bicicletta. Un numero che solo se hai un motore da fuoriclasse puoi compiere.
Ma, d’altronde, i prodromi li avevamo avuti al Giro delle Fiandre. Dopo una caduta che comunque ha rivelato la sua scarsa attitudine alla strada (Van der Poel capitombolò da solo nel tentativo di aggiustarsi da “ciclocrossista” la ruota anteriore che si era stortata), da solo, muro dopo muro, ha recuperato il gruppo principale giungendo quarto. Quel giorno si era capito che l’olandese non sarebbe stato un fuoco di paglia.
L’ultimo ad aver azzeccato la tripletta delle Ardenne (oltre all’Amstel, vi sono Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi) è stato Philippe Gilbert nel 2011, dopo Davide Rebellin nel 2004. Non vogliamo tirargliela, ma il Van Der Poel visto ieri ha tutte le caratteristiche per aggiornare questo particolare albo d’oro.