Gavillucci, una rivoluzione soffocata e il silenzio assordante dell’AIA
L’Associazione Italia Arbitri sembrava ormai essere sul punto di vivere la più clamorosa svolta della propria storia: un arbitro (Claudio Gavillucci) dismesso per valutazioni tecniche che viene reintegrato nel gruppo degli arbitri di Serie A nel corso della stagione, scatenando un terremoto a livello istituzionale e regolamentare senza precedenti. E invece, almeno per il momento, la rivoluzione è soffocata. Dopo la sospensiva stabilita qualche settimana fa, lunedì è arrivata la decisione del Collegio di Garanzia, che ha ammesso il ricorso dell’AIA, annullando così la sentenza della Corte d’Appello, che a sua volta aveva inizialmente dato ragione all’arbitro di Latina.
La questione è spinosa e complessa, ma necessita di un breve riassunto. Gavillucci era stato dismesso al termine della scorsa stagione per valutazione tecnica, dal momento che il suo nome risultava in coda nella graduatoria per punteggio. Una decisione che l’arbitro 39enne, in massima serie dal 2015, non aveva accettato sin da subito, presentando ricorso alla Corte d’Appello. Al centro della questione c’era uno dei più grandi e storici vulnus del sistema dell’AIA: la mancanza di trasparenza dei parametri utilizzati per la valutazione degli arbitri. Manca, ovvero, un elenco chiaro, preciso e noto a tutti prima di essere giudicati dei criteri utilizzati per valutare i direttori di gara.
La Corte d’Appello aveva riconosciuto proprio questo limite, sottolineando come “un’attività che attiene ad una sfera caratterizzata di certo (e giustamente) da ampia discrezionalità di natura tecnico-valutativa, in difetto di predeterminazione e comunicazione dei relativi criteri di giudizio (riservata alla competenza degli organi tecnico-associativi AIA) rischia di sfociare in una sorta di possibile (illegittimo) arbitrio”. La Corte, insomma, non si era soffermata tanto sull’esistenza di arbitrio nel caso di specie, ma sull’esistenza di un vuoto organizzativo grave, reso evidente da quella voce “altri eventuali criteri” i cui parametri sono ancora oggi sconosciuti ai più.
Gavillucci, insomma, si era vista riconoscere la possibilità di rientrare in CAN A, dopo aver trascorso tutta la prima parte di stagione nei campi in provincia ad arbitrare i ragazzini e le categorie minori in attesa della pronuncia. In realtà, di fatto, questa possibilità non si è mai concretizzata: l’arbitro di Latina non è mai stato convocato ad alcun raduno, con la scusa di una presunta mancanza di idoneità agonistica (ma che in realtà Gavillucci aveva esattamente come qualsiasi arbitro in Italia). Tra l’altro, come sottolineato dall’ex arbitro Luca Marelli, altrettanto critico di questa situazione creatasi, molti arbitri anche gravemente infortunati del passato erano stati comunque convocati ai raduni.
Una decisione, quest’ultima, che il designatore Rizzoli si era visto costretto prendere, viste le indicazioni di Nicchi. Intanto, l’AIA aveva presentato ricorso al Collegio di Garanzia del CONI per annullare la decisione della Corte d’Appello, che prima ha sospeso la reintegrazione di Gavillucci in Serie A (evitando così un suo impiego a campionato in corso, con il rischio, in caso di successiva nuova esclusione, di rendere invalide delle partite, falsando il campionato) e poi l’ha respinta, pronunciandosi esclusivamente sul controllo di legittimità e non nel merito della questione.
Come reagirà ora Gavillucci sarà tutto da vedere. L’arbitro di Latina potrebbe accettare la decisione, nella speranza di riciclarsi in futuro in un ruolo dirigenziale all’interno dell’AIA, magari alla fine dell’era Nicchi, oppure accetterà la fine della sua carriera e, magari, si toglierà qualche sassolino dalla scarpa. Comunque vada, l’Associazione Italiana Arbitri ne esce ancora una volta sconfitta sul piano della trasparenza e della chiarezza. Ne esce con un’immagine sempre più scura lo stesso Nicchi, che in questi mesi è andato avanti come se nulla fosse. Il mondo arbitrale è rimasto immobile, nascosto sotto quel velo di retorica che sembra rendere tutto così bello, pulito e corretto: basterebbe leggere qualche pagina della rivista l'”Arbitro” per farsi un’idea di questa realtà mistificata, fatta di racconti quasi fotocopiati e che raccontano ben poco di quella che è la vera condizione degli arbitri italiani a tutti i livelli.
Non solo, ma Nicchi ha deciso di portare a fondo tutti. Compreso Rizzoli, che lo scorso anno aveva difeso la permanenza di Gavillucci in CAN A e si è ora ritrovato a doverlo isolare. Oltre a essere stato uno straordinario direttore di gara, l’arbitro della sezione di Bologna è anche un ottimo dirigente, che sta provando a creare una nuova classe arbitrale facendo esperimenti nonostante il materiale a disposizione, ma la carica di designatore è pur sempre annuale, prolungabile per 4 anni. E anche se formalmente a decidere è il Comitato Nazionale, l’influenza del Presidente dell’AIA resta ovviamente dominante.
Fa quasi sorridere, in tutto questo, la totale assenza di comunicazione da parte dell’AIA. Se fosse stato soltanto per l’Associazione, della storia di Gavillucci sapremmo poco o nulla. Quando si presentano questioni spinose, i dirigenti arbitrali preferiscono restare zitti, in attesa di far scivolare tutto, per tornare alla normalità di sempre. Per alcuni casi, in realtà, il silenzio è stato quasi meglio delle dichiarazioni rilasciate, spesso disastrose e senza alcuna cura a livello mediatico dei propri arbitri. Il caso Gavillucci poteva mettere fine alla presidenza Nicchi, perché un ritorno dell’arbitro di Latina avrebbe riconosciuto a tutti gli effetti l’enorme falla interna al sistema, necessariamente da cambiare sin dai dirigenti. Per il momento, però, le acque possono tornare tranquille. E il mondo dell’AIA può nuovamente guardare avanti, riducendo la questione sollevata da Gavillucci un mero capriccio di un arbitro che non ha accettato la sua esclusione.