Volendo riassumere il 2018 di Vincenzo Nibali bastano due date: 17 marzo e 19 luglio. O meglio ancora, due corse: Milano-Sanremo e Tour de France. O meglio ancora, due istanti: lo scatto secco sulla salita del Poggio e quella maledetta caduta sull’Alpe d’Huez.
L’alfa e l’omega nella stessa stagione per quello che è universalmente riconosciuto essere il punto di riferimento del ciclismo professionistico italiano. Un titolo giustamente affibbiatogli da alcuni anni e che il 17 marzo scorso si è notevolmente rafforzato. Dato che ha riportato a casa, dodici anni dopo l’ultimo sigillo italiano firmato da Filippo Pozzato, la Milano-Sanremo, la Classicissima di Primavera. Nibali aveva un’unica possibilità per far sua la corsa: scattare sul Poggio, guadagnare quei 100 metri necessari per scollinare per primo e per poter disegnare una discesa da urlo sfruttando le sue doti quando la strada è in picchiata, tale da garantirsi un vantaggio utile a resistere negli ultimi 2 chilometri pianeggianti sull’Aurelia verso il traguardo di Via Roma.
Un discorso facile da capire dal punto di vista teorico, meno facile da realizzare dal punto di vista pratico. Per realizzare il numero testé descritto occorrono avere le gambe di un fuoriclasse. E, fortunatamente per noi appassionati di ciclismo italiano, lo “Squalo dello Stretto” fuoriclasse lo è. E la teoria, lungo i tornanti della discesa del Poggio, si è tramutata in meravigliosa pratica.
Il siciliano della Bahrain-Merida dopo il successo di Sanremo si è poi gettato a capofitto verso il secondo obiettivo stagionale: il Tour de France. E la Grande Boucle, dopo un inizio difficile, pareva poter diventare un obiettivo concreto visto la forma del siciliano che piano piano stava crescendo. Un obiettivo che però si è interrotto in una cordicella che sosteneva una macchina fotografica di un tifoso appostato lungo un tratto della mitica ascesa verso l’Alpe d’Huez. In pochi secondi, il patatrac. Il manubrio della bicicletta di Nibali che si incastra nella cordicella, il siciliano che va a terra e subito appare dolorante. Nonostante tutto, lo Squalo dello Stretto generosamente porta a termine la frazione, ma la sera le radiografie sono impietose: frattura di una vertebra e ritiro obbligato.
Una diagnosi che mette a serio rischio il terzo obiettivo stagionale: il Mondiale di Innsbruck. Vincenzo non ci sta però a rassegnarsi a un ruolo di spettatore. A tempi di record si rimette sulla bici, disputa una Vuelta per mettere tanto fondo nelle gambe e il 30 settembre è lì, nel capoluogo del Tirolo, a giocarsi la maglia iridata. Purtroppo però nello sport i miracoli non sempre accadono. L’ultima ascesa dell’Igls presenta il conto con Nibali che inesorabilmente perde le ruote del gruppo dei migliori. Finito qui il suo 2018? Ma per carità. Due settimane dopo la rassegna iridata, il 13 ottobre, Nibali e Pinot danno spettacolo sul terribile Muro di Sormano, l’ascesa più impegnativa del Giro di Lombardia, e salutano il resto della compagnia. Il siciliano è generoso, ma quella maledetta caduta dell’Alpe presenta le sue conseguenze sulla salita del San Fermo della Battaglia. Pinot dà un’ultima accelerata e si accinge a conquistare la Classica delle Foglie Morte, con Nibali comunque splendido secondo.
Un’impresa degna della generosità del siciliano, uno che non si tira indietro quando ha il numero attaccato dietro la schiena. E all’insegna della generosità (e anche grazie a un pizzico di audacia) ecco servito il nuovo programma di Nibali. Nel 2019, il capitano della Bahrain-Merida tenterà il doppio assalto al Giro e al Tour. Ventuno anni dopo Marco Pantani, nessuno è stato in grado di riuscirci. Speriamo che Enzo possa far innamorare l’Italia e gli italiani come lo fece Marco quella magica estate del 1998.