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Nessuna sorpresa

L’eliminazione del River Plate nella semifinale del Mondiale per Club per mano dell’Al Ain ai calci di rigore ha lasciato di stucco tutti gli addetti ai lavori. Nessuno infatti si aspettava che i recenti vincitori della Copa Libertadores più importante di sempre potessero perdere contro la squadra che era nel torneo solo in qualità di vincitrice del campionato del paese ospitante (in questo caso gli Emirati Arabi). In realtà da una decina d’anni le squadre sudamericane sono arrivate in finale una sola volta su due.

Un po’ perchè il loro livello è sicuramente sceso, ma un po’ anche perchè il Mondiale per Club è una competizione priva di qualsiasi interesse, inutile girarci intorno. Fino al 2005 si giocava la Coppa Intercontinentale: la vincitrice della Coppa dei Campioni prima e della Champions League poi affrontava la vincitrice della Copa Libertadores, punto. E sono sempre stati sfide ricche di emozioni, agonismo e coinvolgimento, sia quando la formula prevedeva andata e ritorno sia, dal 1980, con la partita secca. Ricordiamo tra le altre le risse dell’Estudiantes, il Santos di Pelé sfidare il Benfica di Eusebio, il calcio spettacolare di Ajax-Independiente, la doppietta del Milan contro Atlético Nacional e Olimpia, il doppio trionfo del São Paulo e le due più recenti vittorie del Boca Juniors di Bianchi su Real Madrid e Milan.

Insomma, tutte partite che per un motivo o per l’altro entrarono nella storia del calcio. Ecco, da quando è stato istituito il Mondiale per Club tutta quest’atmosfera si è persa. Non ce ne vogliano le squadre vincitrici della Champions League centro-nordamericana, africana, asiatica o dell’Oceania; ma questa era la sfida tra Europa e Sud America. Non è una questione di meriti per cui chi vince la propria competizione ha diritto a sfidare gli altri campioni, questo è stato l’errore della FIFA. Il voler allargare i confini, in realtà per mere questioni economiche, ha rotto l’ingranaggio della competizione. Si è persa infatti tutta l’epicità che aveva dentro quell’unica partita e cosa rappresentava. E anche l’equilibrio. Infatti fino al 2004, anno dell’ultima edizione della Coppa Intercontinentale che vide il Porto battere ai calci di rigore l’Once Caldas dei miracoli, il bilancio delle vittorie diceva Sud America 22-Europa 21. 9 successi per l’Argentina, 7 per l’Italia, 6 per Uruguay e Brasile e 4 per la Spagna.

Se le squadre europee che vincono la Champions League comunque hanno ancora un valore così nettamente superiore al resto del mondo da arrivare senza alcun problema in fondo, per le controparti sudamericane questo non è scontato. Questo perchè negli ultimi quindici anni il calcio sudamericano ha subito un netto impoverimento a livello di club, con i giocatori migliori che vanno via subito mentre quelli che rimangono o quelli che tornano spesso non sono all’altezza dei loro predecessori. L’ultima vittoria al Mondiale per Club di una sudamericana negli ultimi dieci anni è quella del 2012, quando il Corinthians riuscì a battere il Chelsea. Sembra passato un secolo. Il risultato più recente è invece che anche la prima partita diventa un ostacolo e così vediamo l’Internacional perdere col Mazembe nel 2010, l’Atlético Mineiro col Raja Casablanca nel 2013, l’Atlético Nacional contro il Kashima Antlers nel 2015 e il River Plate contro l’Al Ain nel 2018. In quest’ultimo caso poi aggiungiamoci che il River veniva dal trionfo più importante della sua storia, che per tutto quello che è successo ha inevitabilmente “scaricato” i Millonarios. Dal 2010 a oggi quindi quattro volte su nove la rappresentante del Sud America ha mancato l’appuntamento con la finale.

Fate bene attenzione però ora ai nomi delle squadre che hanno sconfitto le vincitrici della Copa Libertadores. A parte il Mazembe, sono tutte squadre del paese ospitante delle rispettive edizioni. E questo non è un caso, perchè stiamo parlando di formazioni del luogo, che quindi non si sono dovute abituare a fusi orari e non hanno dovuto affrontare cambi di sede, spostamenti e lunghi viaggi. Qualcuno potrebbe additare questo elenco di fatti come dettagli di poco conto o scuse. E sarebbe così se il divario tra le squadre fosse grande. Ecco è proprio questo il punto: ormai la verità è che non c’è più così tanta distanza tra un Atlético Nacional e un Kashima Antlers o tra un River Plate e un Al Ain (per esempio un Berg, svedese in forza agli emiratini con un passato al PSV e al Panathinaikos, non è certo inferiore a Pratto). E ricordiamo che l’anno scorso il Real Madrid batte l’Al Jazira solo all’81’ e due anni fa Kashima Antlers ai supplementari. Quindi i dettagli fanno seriamente la differenza e queste squadre, che ripetiamo non hanno alcun merito per partecipare al torneo se non quello di ospitarlo, possono tranquillamente battere le “grandi” sudamericane.

Il succo del discorso si può quindi riassumere rispondendo a due domande. 1) È stato giusto allargare un torneo storico cambiandone il formato? Se si pensa al livello delle squadre e basta forse sì, ma come abbiamo visto spesso la “sorpresa” è arrivata dall’unica squadra “estranea” ai parametri per partecipare alla manifestazione. Quindi la FIFA è incappata in un controsenso: tutte le squadre chi vincono la coppa del loro continente hanno diritto a partecipare, ma poi quella che ha più successo da questa formula è l’unica che non ha vinto nulla. 2) Il Mondiale per Club ha senso di esistere? No, perchè è una competizione che non è mai esistita prima della Coppa Intercontinentale e che una volta istituita non ha certo suscitato più interesse della sua antenata. Volendo si potevano benissimo tenere le due competizioni separate trovando un modo per farle coesistere.