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Forte e… Felice. Ciao Pulici, il ricordo di uno che rimpiange il tuo calcio

C’erano una volta gli anni ’70, e c’era una volta la Lazio che, nel 1974, vinse il suo primo scudetto, dopo aver lottato sino all’ultima giornata con Milan e Juventus nella stagione precedente. A noi, che eravamo bambini, e andavamo già allo stadio, sembra ieri: però, guardando le immagini in bianco e nero, ci rendiamo conto che i 44 anni trascorsi ci sono tutti. Domenica, a 73 anni, è mancato il portiere di quella squadra: Felice Pulici. Omonimo dell’attaccante del Torino (che però faceva Paolo di nome), era nato a Sovico, vicino a Monza. Pur avendo militato anche in altre squadre, il portiere diventò famoso, e resta nella nostra memoria, con addosso la maglia biancoceleste, dove restò dal 1972 al 1977. Un particolare: l’estremo difensore, in quelle cinque stagioni, disputò tutte le 150 partite di campionato.

Pulici era cresciuto nel Novara, dove rimase quattro stagioni, prima di tornare vicino a casa, al Monza, per un anno. Dopo Roma, giocò ad Ascoli 3 anni, terminando la prima carriera con la Lazio, nel 1982. Pulici era avanti rispetto alla sua generazione: l’impegno come calciatore non gli aveva impedito, infatti, di laurearsi in giurisprudenza, e diventare avvocato. In quella veste, fu dirigente della società biancoceleste (gestione Cragnotti, Chinaglia e Lotito), e la difese nei processi legati a Calciopoli. Fu anche opinionista in alcune radio libere romane. Ultimo incarico nel calcio, il ruolo di direttore generale dell’Ascoli, tra il 2006 e il 2007.

Felice Pulici non è, purtroppo, il primo di quella Lazio a mancare: anni fa toccò al giocatore più rappresentativo, Long John Chinaglia, e in questo 2018 a lasciarci è stato Mario Facco, lo scorso 31 agosto. Il nostro ricordo di Pulici, quello di un giocatore che, in nazionale, era chiuso da gente come Zoff e Albertosi, forse più talentuosi, vero. Avrebbe magari potuto avere un ruolo dopo il disastroso mondiale del 1974, tuttavia la rivoluzione di Bernardini prima e di Bearzot dopo non toccò il ruolo del portiere, e la maglia numero uno restò sulle spalle di Dino Zoff. Rimane però il ricordo di un grande campione, sempre corretto, mai sopra le righe. Quella Lazio resta un’icona del calcio di quegli anni: un’epoca autarchica, dove non c’erano stranieri, e dove la squadra biancoceleste realizzò un’impresa forse più grande anche di quella di due decenni dopo: fu il primo scudetto della compagine romana, che interruppe il dominio di una Juventus capace, alcune stagioni dopo, di vincere un campionato ottenendo 51 punti sui 60 disponibili, battendo il Torino, che ne fece 50, dopo aver vinto l’anno prima. Altri tempi, altro calcio: il nostro.