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Quel pasticciaccio brutto del Monumental (e del Bernabeu)

Pochi, pochissimi giorni sono passati dalla vergogna di Buenos Aires e dalle polemiche conseguenti, unite a quelle sulla nuova destinazione d’una finale sportiva che, ormai, di sportivo ha men che niente. Pessima situazione davvero, come, del resto, la figura d’un paese che, stando ai fatti, non è in grado di assicurare lo svolgimento di un’ordinaria partita di pallone: a nulla valgono le giustificazioni circa l’imminenza del vertice G20, giacché, a dire il vero, sottolineano con evidenza pure maggiore l’assoluta incapacità organizzativa, amministrativa, politica di una nazione intera. Una sconfitta totale per l’Argentina tutta, ben peggiore dei recenti rovesci sportivi (la delusione a Russia 2018, il Lio Messi escluso dal podio del Pallone d’Oro, e così via): una sconfitta che, peraltro, non presenta appigli di sorta per un futuro miglioramento. Anzi.

Pochi, pochissimi giorni sono passati, e il mondo dell’informazione, dopo le articolesse e le ironie, sembra quasi dimenticare che, domenica prossima al Santiago Bernabeudovrebbe giocarsi la SuperFinal trasformatasi ormai in SuperVergogna. Dovrebbe, ché, al momento, un bookmaker in cerca di facile pubblicità farebbe meglio a proporre scommesse sull’effettivo svolgimento della partita, più che sul risultato. Non ci sorprenderemmo, infatti, se le dirigenze di River PlateBoca Juniors, o qualche ulteriore trovata da parte degli altri degni protagonisti di questa triste vicenda, riuscissero a far saltare tutto. E, forse, non sarebbe neppure un male.

Sia chiaro: la soluzione Madrid non ci piace, né punto né poco.
Rappresenta la consacrazione dell’Argentina quale paese fuori controllo, nonché l’ennesimo trafugamento, l’ennesima razzia che il calcio europeo, negli ipocriti panni di un pessimo samaritano, perpetra ai danni del futbol del Latinamerica. Come se non bastasse l’ormai consueta, ordinaria tratta all’incontrario che porta ogni anno i migliori talenti sudamericani a solcare l’Atlantico in cerca di fortuna, a far la fortuna dei club inglesi, spagnoli, portoghesi, italiani, depauperando, di fatto, il calcio di un intero continente. Come tradizione, sempre a vantaggio dei conquistatori. E la traslazione iberica di River Plate-Boca Juniors, dopo il 2 a 2 della Bombonera, è, in sé, la somma d’una serie di innumerevoli malizie, tutte interessate, tutte sulla scorta dell’imperativo the show must go on ancor più beffardo e inaccettabile.

Si pensi al Banco Santander, dal 2009 sponsor della competizione sudamericana e prossimo marchio pure della “nostra” Champions: consimile istituto non può certo rinunciare allo svolgimento d’una match che avrà puntati su di sé i riflettori di tutto il mondo, nonostante il non eccelso tasso tecnico, tanto più che in ballo ci sono pure le “ragioni” della Fox detenetrice dei diritti di trasmissione (la cui assegnazione avvenne in maniera tutt’altro che cristallina). E la generosa ospitalità offerta da Florentino Pérez affonda le proprie ragioni d’essere negli interessi dell’azienda ACS, impresa che si occupa di costruzioni su larga scala e che nell’Argentina di Mauricio Macri ha importantissime commesse. Questi i protagonisti della pupazzata, senza dimenticare la CONMEBOL di Alejandro Dominguez, anch’essa tra le principali fautrici del si giochi, sì o sì.

Hanno perso, a prescindere dallo svolgimento o meno del match di domenica (ribadiamo: non siamo così sicuri che tutto fili liscio e quasi ce lo auguriamo), gli argentini, del River, del Boca, dell’Independiente, che vedranno (forse) la loro partita giocarsi sul neutro madrileno, un perverso Rumble in the Meseta che, nei fatti, è autentico rapimento sportivo, completo di ostaggi e riscatto. Ha perso l’Argentina, e su questo non c’è dubbio, così come tutti coloro che amano, e amavano, il calcio, lo sport. Calcio e sport come veicoli dell’immaginario, repertori di storie e personaggi, di umanità, surrogato di un’epica che l’uomo ha, da sempre, alimentato, creato e amato: questa, la base dello sport, non la riduzione dei suoi protagonisti a polli d’allevamento per un tritacarne umano a far girare i registratori di cassa. Soldi, soldi, nient’altro che soldi, in una vertigine senza senso né dignità.

Che senso ha, a questo punto, vincere una coppa simile? Addirittura senza giocare neppure, come vorrebbe la ridicola dirigenza del Boca, capitanata dal Claudio Angelici che pretenderebbe, non si sa su quale base giuridica, di vedersi assegnato un trofeo senza scendere in campo. È questo il senso dello sport? Vincere, a prescindere dalla realtà, a prescindere dall’aver giocato o meno? E cosa si festeggerebbe, in tal caso? Un bilancio meno disastroso, con un pugno di pesos in cassa?

E, allora, consci della nostra innegabile irrilevanza, anzi: forti della nostra irrilevanza, vorremmo chiedere di non giocarla.
Non giocatelanon giochiamola questa Copa Conquistadores che nessuno, proprio nessuno, merita, nel bene o nel male.
Né a Baires né a Madrid né a Genova né in qualsiasi altro luogo al mondo.
Che il ritorno del SuperClásico più atteso e discusso non si disputi, lasciando vuota la casella 2018 nell’albo d’oro.

Che ironia, amarissima, quella d’una coppa che, nella propria denominazione, serba il ricordo degli eroi liberatori d’un continente (tra cui Simón Bolívar, José de San Martín, Pedro I, Bernardo O’Higgins, José Gervasio Artigas) e che si vede, non da adesso, oggetto d’un commercio ignominioso, osso spolpato da cani latranti.
Jorge Eines, regista teatrale argentino, ha scritto, sostenendo la causa della non disputa del match, Viva el futbol, muera el futbol: ci pare una delle poche cose davvero sensate.
E nello stesso periodo in cui ci troviamo a ricordare la morte di Socrates, quell’incredibile campione di sport e di vita che venne qui a giocare omaggiando il pensatore che invitava a odiare gli indifferenti (si pensi ai vari campionucoli attuali che hanno appoggiato Bolsonaro), in un mondo (Italia compresa) che ci pare del tutto impazzito, il senso, dello sport e non solo di quello, è qualcosa di cui sentiremmo disperatamente bisogno.