Il 2018 dell’Italbici – A…come Aru
Avrebbe dovuto essere l’anno della definitiva consacrazione, questo 2018 per Fabio Aru. Il ventottenne sardo faceva il suo esordio con la maglia della UAE Fly Emirates dopo 5 anni all’Astana. Una compagine che dal nome evince come i capitali siano da ricercare negli Emirati Arabi Uniti ma dall’anima fortemente italiana, considerato che a capo del progetto vi è Beppe Saronni e che le biciclette sono fornite dal Maestro Ernesto Colnago.
Purtroppo, però, il condizionale di inizio anno è restato tale anche al termine della stagione. Inutile menar il can per l’aia, perché sarebbe disonesto intellettualmente farlo, anche e soprattutto nei confronti di Fabio: il 2018 di Aru è stato pessimo. Per chi ha nel palmarès una vittoria alla Vuelta con due tappe, 2 podi al Giro d’Italia con tre tappe e 1 frazione al Tour de France con diversi giorni in Maglia Gialla e il titolo di Campione Italiano 2017, non può essere definita diversamente una stagione conclusa senza vittorie, con il 4/o posto nella tappa di Sassotetto alla Tirreno-Adriatico come miglior risultato.
Il principale obiettivo stagionale era il Giro d’Italia, una corsa che alla fine lo ha visto protagonista ma non certo come Aru avrebbe immaginato alla partenza da Israele. Il sardo ha sempre arrancato nei confronti nei migliori sul proprio terreno congeniale, la salita. Fino a prendere una cotta colossale nella 15/a frazione nella tappa con arrivo in cima a Sappada, staccandosi fin dal Passo Tre Croci, con la sofferenza che gli si leggeva in volto in inequivocabili immagini televisive. Cotta che è stato il preludio al ritiro giunto prima della 18/a tappa.
Poi, l’analisi, la lenta ripresa con il Polonia e la Vuelta. Una decisione che ancora oggi fatichiamo a comprendere, quella di far partecipare il sardo alla corsa iberica. Dopo la batosta – più psicologica che fisica – del Giro d’Italia, la prudenza avrebbe consigliato di accantonare i Grandi Giri per quest’anno e di concentrarsi sulle corse da un giorno italiane. Invece, la voglia di un’immediata rivincita ha prevalso. Risultato? 23/o posto finale, in salita sempre nelle retrovie con la ciliegina sulla torta della caduta in discesa nel corso della 17/a tappa e le imprecazioni nei confronti della sua bicicletta in Mondovisione.
Insomma, un 2018 totalmente da dimenticare. Da apprezzare vi è unicamente la sua rinuncia alla Maglia Azzurra per i Mondiali di Innsbruck, atto di grandissima onestà sportiva e intellettuale. Ecco, da questa genuina trasparenza e schiettezza che Fabio possiede bisogna ripartire. Chi lo dà già per bollito delle due l’una: o è prevenuto oppure capisce davvero poco di ciclismo, perché i risultati che Aru ha ottenuto non sarebbero stati tali se il sardo non fosse dotato di quella classe cristallina che ha già dimostrato di avere. Una classe cristallina che attualmente è nascosta sotto una crosta di ruggine.
Tocca a lui, ai suoi preparatori – Paolo Tiralongo in primis – lavorare sulla testa e sul fisico per scrostare quanto di negativo c’è stato. Le potenzialità, ne siamo convinti, ci sono. Ed è interesse di tutti che Fabio alla svelta ritorni a essere quell’Aru che negli ultimi anni – scorso a parte – ci ha fatto davvero emozionare.