A quasi due settimane dalla vergognosa vicenda avvenuta nel Lazio con il pestaggio di un giovane arbitro al termine di una gara di Promozione, la situazione in Italia è ancora in sospeso. Le indagini della polizia proseguono, ma i tifosi colpevoli del tremendo gesto non sono ancora stati individuati e puniti e, dopo lo sciopero dello scorso week-end, i campionati dilettantistici della regione si preparano a ripartire già da domani. Ma proprio mentre i vertici delle istituzioni italiane sembrano essersi messi finalmente in moto per trovare una soluzione e migliorare l’attuale giustizia sportiva, finora risultata fin troppo morbida e non adeguata alle attuali esigenze, il tema delle violenze sugli arbitri, soprattutto ai livelli più bassi del calcio, è improvvisamente esploso nel dibattito dell’opinione pubblica anche di un’altra zona del continente: in Irlanda e nel Regno Unito.
Proprio nel week-end del vigliacco attacco all’arbitro Riccardo Bernardini, infatti, un caso analogo è avvenuto anche in Irlanda, durante la partita tra Mullingar Town e Horseleap, valevole per la Combined Counties Football League, una sorta di campionato a cavallo tra l’amatoriale e il dilettantistico: al termine della gara, l’arbitro Daniel Sweeney è stato attaccato da tre calciatori del Mullingar Town e un tifoso nel parcheggio del campo, riportando la frattura della mascella e diversi danni al setto nasale e al viso. Una violenza che lo stesso direttore di gara ha deciso di rendere nota a tutto il mondo, mostrando le foto del proprio volto tumefatto, creando enorme scalpore in Irlanda prima e in tutti gli altri Paesi poi.
All’episodio ha fatto inevitabilmente seguito la dura condanna della Federazione irlandese, anche se, come nel nostro caso, ancora sono in corso le indagini e nessuno degli indagati è stato arrestato. Sweeney sta meglio e in un filmato ha recentemente ringraziato per il sostegno ricevuto, dichiarando con una tranquillità impensabile di voler perdonare i propri aggressori. Ance perché, dopo aver subito simili episodi, nessun arbitro ha mai desiderato la vendetta: smaltita l’amarezza, resta soltanto la voglia di tornare in campo, sognando un futuro mondo del calcio senza violenze verso i direttori di gara. Un’utopia al momento attuale, ma è anche grazie a queste testimonianze che si può sperare in qualcosa di diverso un domani.
L’episodio, però, ha avuto grande risonanza mediatica Oltremanica e ora anche nel vicino Regno Unito ci si è tornati a interrogare sulla necessità di un cambiamento a livello giuridico per garantire maggiormente gli arbitri che ogni domenica corrono sui campi di ogni città. E così, proprio la BBC ha raccolto una serie di testimonianze (Being an amateur referee) di ex arbitri che, durante la propria carriera, sono stati vittime di violenze verbali e fisiche: storie diverse per le loro vicende, ma accomunate da un sentimento di amarezza e rabbia per la poca tutela ricevuta sul campo, mentre davanti ai loro occhi si ripresentano quei momenti di grande paura. È, per esempio, la storia di Peter del Wiltshire, minacciato di morte da un giocatore infortunatosi da solo nel tentativo di intervenire duramente su un avversario, promettendo di stuprargli la moglie e uccidere lui e i suoi figli: episodio su cui la Wiltshere FA non intervenne, perché Peter, preso dalla paura dal momento e isolato in mezzo al campo, non aveva fatto in tempo ad ammonirlo o espellerlo.
Ma è anche la storia di Connor del Derbyshire, picchiato al termine della partita dopo essersi visto distruggere la propria automobile; di Allan dell’Hampshire, che fu costretto a sospendere una partita dopo aver espulso un giocatore per il suo atteggiamento violento: giocatore che lo stesso Allan ha incontrato nove mesi dopo in una stazione di servizio, sentendosi ancora minacciare con un “se pensi che mi sia scordato di tutto ciò che è accaduto, ti sbagli”; di Anti di Brisbane, la cui moglie fu molestata da due giocatori cinque giorni dopo essere stati espulsi in campo, o di Ali di Suffolk, che a soltanto 16 anni si ritrovò a fine partita a dover affrontare le minacce dell’allenatore allontanato e del padre di un giocatore ammonito. Tante, drammatiche storie che hanno spesso portato questi arbitri, adulti o giovani ragazzi, ad abbandonare l’attività, ritrovandosi improvvisamente da soli anche fuori dal campo.
Ma il servizio della BBC non ha avuto soltanto l’effetto di riaccendere un dibattito che è rimasto troppo spesso in silenzio, sospeso dalle abitudini delle partite di ogni week-end. I racconti degli arbitri intervistati hanno portato alla luce un drammatico problema anche in quel mondo dipinto da tutti come il più rispettoso, l’esempio da seguire per la sua sportività e correttezza, un modello da cui partire per provare a ricostruire il rapporto tra arbitri, giocatori e tifosi. Ma la realtà, quella vera dei campi di periferia e che tocca la maggior parte dei direttori di gara, è ben diversa da quella scintillante della Premier League e mette a nudo un sistema non meno in difficoltà e violento del nostro, dove i progetti portati avanti finora per sensibilizzare sul tema del rispetto degli arbitri, come accaduto qui in Italia, sembrano essere ormai falliti. Facendo scoprire così a tutti che nemmeno al di là della Manica esiste quel Paradiso terrestre del calcio tanto a lungo esaltato anche dalla nostra stampa.