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Pallone d’Oro 2018: niente di strano (e vi diciamo pure chi vince)

Tre nomi per un premio, Raphaël VaraneKylian MbappéLuka Modrić, secondo le ultime indiscrezioni trapelate dalla Francia. Uno di questi, domenica 3 dicembre a Parigi, sarà insignito con il Pallone d’Oro 2018, storicamente il riconoscimento individuale più prestigioso (e discusso) del calcio. A distillare la peculiare terzina da una lista precedente di 30 nomi, una giuria selezionata di giornalisti sportivi (circa 150) provenienti da tutto il mondo, con l’Italia rappresentata da Paolo Condò di Sky Sport.

È ovvio che l’aporia rappresentata da un premio individuale per uno sport di squadra sia la prima origine strutturale della discutibilità di un riconoscimento “vocato alla chiacchiera da bar”, con la partigianeria (nazionale, di club o addirittura etnica) a farla da padrone. Al contempo, lo sport è, tra gli intrattenimenti del mondo contemporaneo, quello intimamente più segnato dalla dittatura del presente, l’ineluttabile propensione far prevalere ciò che è più prossimo in senso cronologico: un sondaggio circa il più forte calciatore della storia svolto tra Millennials difficilmente annovererebbe Di StefanoLeonidas, posta l’innegabile dimensione pop che i Best e i Cruijff hanno rispetto ai citati sudamericani. Questa peculiare sudditanza psicologica investe pure, e non potrebbe fare altrimenti, il giornalismo, peraltro quasi mai estraneo alla partigianeria di cui sopra.

Ciò che colpisce, a un primo vaglio, è l’intera copertura del campo offerta dalla terzina eletta: difesa (Varane), centrocampo (Modrić) e attacco (Mbappé), con la consueta esclusione del portiere, poiché è piuttosto raro che gli estremi difensori attraggano l’attenzione dei premi “generalisti”; le “recenti” eccezioni di Buffon (nel 2006) e Neuer (nel 2014) fanno entrambe riferimento a freschi campioni del mondo. I tre nomi denunciano, in due serie incrociate, il predominio delle  squadre che hanno colto i successi più importanti della passata stagione: due del Real Madrid, evidente tributo alla Tercera Champions consecutiva delle merengues, e due della Francia, inevitabile pegno pagato alla vittoria al mondiale russo. In chiave italocentrica, potremmo sottolineare (nessuno ci pare l’abbia fatto) che in entrambi i casi si tratta di squadre guidate da allenatori certo francesi, ma che hanno svolto una parte non secondaria della propria carriera di atleti nella Juventus lippiana degli anni Novanta. Proseguendo nell’analisi, osserviamo come il “terzo incomodo”, rispetto all’appartenenza di casacca, sia costituito dal giocatore simbolo dei vicecampioni iridati e da quello che, al momento, pare il più cristallino tra i giovani talenti del calcio mondiale (che, giusto ieri sera, si è infortunato).

Da quando è tornato a distinguersi dal Premio FIFA al miglior giocatore dell’anno, al termine della controversa coabitazione durata dal 2010 al 2015, il Ballon d’Or è tornato a essere quello che è sempre stato: un premio certo discutibilissimo (creato apposta per confrontarsi), ma dato da una giuria “non popolare” (in quello FIFA hanno voce in capitolo giocatori, allenatori e pubblico), una sorta di premio della critica e come tale dovrebbe essere letto. In tal senso, le designazioni non ci paiono peregrine, anche e soprattutto in considerazione della precedente selezione di 30 atleti, tra i quali, è necessario dirlo, non figurava neppure un italiano e soltanto Mario Mandžukić come rappresentante “integrale” della nostra Serie A (l’altro è, ovviamente, Cristiano Ronaldo, sino ad agosto giocatore di Liga).

È vero, manca Griezmann, buon terzo dell’edizione 2017, oltre alle pesantissime assenze dei due vincitori delle ultime 10 edizioni, e l’inserimento di un difensore meno appariscente e personaggio di Sergio Ramos ha stupito non poco, specialmente in Italia. L’esclusione del Petit Diable certifica, a nostro avviso, lo statuto di “competizione di seconda fascia” per l’Europa League, e quella del capitano iberico è comprensibile a seguito del parziale fallimento spagnolo in Russia.

Non si può dire che quello di Varane risponda esattamente al profilo del Carneade, però: cinque stagioni da titolare nel Madrid, dal 2013 pilastro della difesa francese, il martiniquoise de Lille ha, come il suo illustre predecessore Lilian Thuram, messo a segno un gol decisivo ai Mondiali (nei quarti contro l’Uruguay; vent’anni prima, il creolo juventino realizzò addirittura una doppietta contro la Croazia, in semifinale). E se è innegabile che la retroguardia transalpina non si sia dimostrata la più impenetrabile del torneo russo (6 gol subiti, ma non è che Varane giocasse da solo), neppure quella merengue e quella spagnola possono recentemente annoverarsi tra le più sigillate in circolazione.

Nessuno scandalo, dunque, ma una (sempre) discutibile logica di premiazione ecumenica, al termine di una stagione più “normale” delle altre per la diarchia CR7/Pulga: entrambi vincenti e performanti, ma autori di un mondiale comunque non troppo rilevante, se si esclude la “fiammata” del portoghese nel debutto contro la Spagna. A nostro parere, il “senso” delle nomination, e quindi dell’assegnazione, è il seguente: vincitore sarà senza dubbi Luka Modrić e, a dispetto d’un avvio di stagione non particolarmente brillante, nessuno potrà lamentarsi per un riconoscimento attribuito al miglior giocatore del mondiale e del 2017-18 secondo l’UEFA. Anzi, tenendo conto delle due assegnazioni, non sarebbe minimamente comprensibile sottrarre al regista croato il premio più ambito.

Piazzati, e su quale gradino del podio conta assai relativamente, uno tra i migliori difensori del mondo, appunto, e quello che, in futuro, potrebbe sostituire i Messi e CR7 nell’immaginario collettivo e che, comunque, verrà “consolato” con il Premio Kopa, assegnato al miglior Under 21. Da questo punto di vista, in ragione del premio giovanile, la (nostra) logica vorrebbe Varane secondo e Mbappé terzo, il che attutirebbe, seppur a livello simbolico, il mancato inserimento di Griezmann tra gli ultimi candidati, immaginandolo, per dire, medaglia di legno, quarto classificato a poca distanza virtuale dal compagno d’attacco dei Bleus. Altro particolare tutt’altro che secondario, il fatto che, dei tre eletti, Varane è l’unico a presenziare, da titolarissimo, in entrambe le formazioni che vantano due nomi scelti: mica male.

Sicuramente, se Varane giocasse in Italia o, addirittura fosse italiano, avremmo letto tutt’altro sui quotidiani di oggi: è inutile, la nostra stampa è connaturata dal considerare il lettore medio non troppo informato, ineluttabilmente parziale e in costante ricerca di rassicurazione/autoesaltazione, senza la minima finalità di informare. Del resto, è bastato che CR7 approdasse alla Juve per passare da “VIP sottoposto al gossip” a “ottimo padre di famiglia”, nonostante le accuse non proprio ignorabili che lo coinvolgono. In tutto questo, pure sull’onda di un’Italia pallonara che ci pare in netta ripresa e che siamo certi regalerà soddisfazioni, che tra i 10 Under 21 selezionati del Kopa ci siano due nostri giocatori (entrambi milanisti: CutroneDonnarumma) è fatto passato quasi sotto silenzio.
Il futuro potrebbe essere nostro, ma nessuno lo dice e, forse, neppure se ne accorge.